Zona arancione, i negozi riaprono
«Pronti, nel rispetto delle disposizioni»

Da domenica la Lombardia è zona arancione. Al lavoro 7.500 addetti. «Fiduciosi, però prudenti».

C’è una vetrina da riallestire, una decorazione di Natale da sistemare, o semplicemente un igienizzante da sostituire per continuare ad accogliere i clienti in sicurezza, come accadeva fino al 5 novembre. La lunga giornata dei commercianti, l’ultima del secondo lockdown, inizia presto: si riparte dopo quasi un mese di stop che per molti è stato più duro del fermo di primavera. Una ripartenza che dovrà fare i conti con la necessità di non gettare al vento i sacrifici per contenere il diffondersi del virus. Ma questo i 7.500 addetti che riaprono i battenti questa mattina lo sanno e, almeno per quanto riguarda le loro attività, sono pronti a tornare a lavorare rispettando tutte le disposizioni anti-contagio.

Ieri i preparativi, oggi il via

Il passaggio della Lombardia alla zona arancione riapre di fatto le saracinesche di quei 3 mila negozi (soprattutto di abbigliamento, oggettistica e gioielleria) che nelle scorse settimane sono rimasti chiusi. Alla vigilia, molte vetrine, in centro come nei borghi, sono spente, ma nei locali i commercianti si danno da fare per tirare a lucido il loro negozio. Si riparte nell’ultima domenica di novembre, in tempo per acciuffare la possibilità di applicare gli sconti del Black Friday e per guardare allo shopping natalizio con un po’ di ritrovata fiducia. Oggi, poi, i negozi nei centri commerciali sono chiusi e la speranza di chi vive del passeggio del centro città e dei quartieri è che le strade tornino ad riempirsi, malgrado le regole impongano il distanziamento e il divieto di uscire dal Comune di residenza. «C’è grande tensione – dice il direttore di Ascom Oscar Fusini – perché dicembre è un mese fondamentale per le attività commerciali rimaste chiuse in queste settimane. Di sicuro non ci saranno grandi assembramenti, perché c’è ancora paura e sono ancora in atto tante restrizioni. Vedremo già domani (oggi, ndr) quale sarà l’afflusso. Questa ripartenza è importante per l’economia di tante famiglie; la seconda chiusura è arrivata a inizio novembre come una mazzata psicologica, dopo la ripresa di fine maggio, ma anche finanziaria: in questo mese l’indebitamento delle imprese è cresciuto ancora di più».

Le voci dei negozianti

«Mi auguro che le persone abbiano di nuovo voglia di tornare in città e nei negozi – dice Celeste Sperani, titolare di un negozio di abbigliamento di via Borgo Palazzo –. Il fatto che i bar e i ristoranti siano ancora chiusi non aiuta, per acquistare un vestito, serve avere anche un’occasione per indossarlo. Speriamo piuttosto che non si tratti di un’apertura fittizia, per poi chiudere di nuovo a gennaio».

Già, perché per tanti chiudere a novembre è stato ancora peggio che chiudere a marzo e aprile. «Allora siamo stati colti di sorpresa ed eravamo disorientati, oltre che spaventati dalla malattia – ricorda Elisa Gatti, titolare di un negozio di oggettistica in Borgo Palazzo –. La chiusura di novembre è stata come la ricaduta di una malattia. Adesso non abbiamo più voglia di pensieri negativi, vogliamo guardare avanti, fiduciosi, e con la speranza che le persone capiscano che bisogna assumere comportamenti appropriati».

Tra le categorie di negozi pronte a ripartire, anche le gioiellerie: «Noi ce la mettiamo tutta – dice Luisa Cornaro, titolare dell’omonima gioielleria di via Camozzi –. Già domenica addobberemo il negozio e faremo l’albero di Natale. Speriamo di essere felici noi e di fare felici anche i nostri clienti. Quest’anno è stato molto triste, ora ci stiamo riprendendo: dobbiamo avere la forza di mettere tutto il nostro calore e provare a fare la città bellissima, per condividere almeno un momento di serenità con i tutti i bergamaschi».

L’impressione è che ci sia una volontà comune a lasciarsi alle spalle il tempo dei dispiaceri e delle polemiche, per provare a voltare pagina, pur senza dimenticare la drammaticità di un momento che non è ancora concluso. «Abbiamo perso terreno anche nei giorni scorsi – puntualizza Filippo Caselli, direttore di Confesercenti –. Molti consumi si sono spostati sull’online favorendo i colossi internazionali. Siamo contenti per questa riapertura, sia per i negozi sia per i mercati. Torniamo a una pseudo-normalità, sperando che riaprano presto anche bar e ristoranti. Al di là dei ristori, che pure sono importanti, gli operatori hanno bisogno di lavorare per sostenere i costi, anche in considerazione della sofferenza psicologica che molti hanno incontrato in queste settimane per non aver potuto lavorare». I commercianti ora si augurano che questa sia davvero la volta buona. «Speriamo che ora ci facciano lavorare – dice Evelina Rodigari, titolare di Ki Concept, negozio di articoli per signora in via Borfuro –. La zona arancione ci penalizza ancora, perché abbiamo tanti clienti che arrivano da fuori città; ma da parte nostra c’è tanta voglia di ripartire». «Questa chiusura ci ha penalizzato fortemente – racconta Paolo Rigoli, titolare di Abitex, uno dei negozi di abbigliamento storici, in Borgo Palazzo dalla metà degli Anni ‘40 –. Siamo qui da una vita, ma un anno simile non lo avevamo mai visto. Ora riapriamo applicando il 20% di sconto sui nostri capi; lo facciamo per invogliare la gente a comprare, non era mai successo prima di Natale». Qualcuno, come Cristian Bonfanti, titolare di Oggetthi, negozio di decorazioni per la casa in Borgo Santa Caterina, è riuscito a sbarcare il lunario grazie alle consegne a domicilio: «La gente ha voglia di Natale e di sicuro tornerà a uscire – dice – ma speriamo che la zona arancione duri poco: abbiamo bisogno anche di clienti che arrivano da fuori città». Nonostante la crisi profonda, nessuno ha mai pensato di gettare la spugna: «Noi siamo ormai alla terza generazione – spiega Sergio Poli, titolare in Borgo Palazzo di un negozio di calzature e pelletteria –. Certo, restando chiusi a novembre abbiamo perso il cambio di stagione, che non recupereremo. Queste tre settimane ci hanno tagliato le gambe, ma a chiudere definitivamente non abbiamo mai pensato».

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