L’Atalanta agli americani e nuovi vertici. Ecco perché gli investitori evitano la Germania: pregi e difetti del «50+1»

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E ra più o meno un anno fa, il 19 aprile 2021 per la precisione, quando una specie di golpe calcistico sembrò spazzare via i campionati nazionali per come siamo abituati a conoscerli: in un attimo buttate via regole, certezze, abitudini; nasceva la Superleague. Sin dai primi momenti di quelle folli 48 ore ci fu un paese ed un campionato che prese le distanze in modo netto da quel modello nascente: la Germania e la Bundesliga. Karl Hainz Rumenigge e Hans Joachim Watkze, rispettivamente amministratori di Bayern Monaco e Borussia Dortmund, mai avrebbero potuto sposare le logiche di Florentino Perez e Andrea Agnelli ben sapendo che sarebbero state immediatamente bocciate dalle assemblee societarie governate dai tifosi grazie alla legge denominata “50+1”, qualcosa di unico nel panorama calcistico mondiale. Per comprendere come nasce questa forma associativa bisogna risalire ai primi del ‘900 quando in Germania, come in tutta Europa, nascono le prime associazioni sportive sulla spinta della classe borghese desiderosa di occupare il proprio tempo libero. Quel modello no-profit funzionò talmente bene che rimase in vigore fino al 1998 quando una nuova legge consentì ai club calcistici di trasformarsi in società per azioni a condizione che l’associazione originaria, fondata dai tifosi, mantenesse il controllo con una partecipazione mai inferiore al 51%. Di questo tema ci occupiamo oggi, a poche ore dalla sfida di ritorno tra Lipsia e Atalanta, fresca peraltro di rinnovo del suo organigramma societario con l’ingresso degli «americani».