Caudano e il destino di Gasperini: dopo il «sì» l’ansia si scioglie componendo una serie di rime

storia. Il nuovo racconto di Stefano Corsi

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I l professor Caudano aveva creduto che questa volta non sarebbe stata come quell’altra, quando la paura di perdere Gasperini era stata concretissima, dopo la prima qualificazione Champions: appena ottenutala sotto il diluvio di Reggio Emilia, aveva visto in televisione i giornalisti scherzare con il suo allenatore circa la conoscenza del romanesco, perché pareva proprio dovesse finire sul Tevere, sponda giallorossa. Era seguito lunedì di passione, di paura, quasi di sconforto, e, solo a sera, una sera di nuvole cupe, Antonio Percassi era uscito da un incontro con Gasperini stesso e aveva avuto parole tranquillizzanti.

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Ma allora era tutto diverso, non era come adesso, che sono passati sette anni, che l’atmosfera è meno idilliaca e che, agli occhi del buon Elvio, Gasperini è un po’ meno divino e molto più umano: da un anno e mezzo il gioco non è più quello scintillante di un tempo; rinunciarvi sarebbe stato forse redditizio, mentre il mister, dopo un inizio campionato guardingo ma foriero di punti, ha cercato di riproporlo forse senza più avere gli uomini idonei, come chi con un’utilitaria cercasse le prestazioni di un’auto della Formula 1; le continue polemiche, talvolta anche contraddittorie; la sparizione dal campo di alcuni giocatori anche forti o potenzialmente tali, specie in difesa; la sensazione di una solitudine amara che circondava l’allenatore stesso, con i calciatori raramente o mai a esultare con lui, lui fin troppo loquace nei dopopartita, la società immersa in un silenzio assordante che sembrava con ciò stesso prendere le distanze. Silenzi in italiano, silenzi in inglese, silenzi a Bergamo e silenzi a Boston. Tutto sembrava preludere alla separazione dopo la crisi, del resto proverbiale, del settimo anno.