Caudano e la studentessa a caccia del 6 in extremis: come l’Atalanta e il residuo sogno Champions

storia. Il nuovo racconto di Stefano Corsi

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È tutto l’anno che Anita Maria Muñoz parla con un filo di voce, là, dall’ultimo banco e da sotto i suoi capelli corvini o, meglio ancora, andini. Il volto tipico delle donne della sua stirpe, abbastanza privo di illecebre ai nostri occhi europei, o perlomeno agli occhi marchigiani del professor Caudano. Ovvio che un filo di voce lo abbia anche adesso, appena dopo il suono della campana, alla cattedra, mentre con uno sguardo più timido che supplichevole chiede se non può essere interrogata un’ultima volta, per cercare di rimediare la situazione di latino. Il buon Elvio la guarda con aria pensosa. Gli è ben chiaro che già in italiano la sufficienza è pressoché regalata, soprattutto grazie alle famigerate prove comuni, di per sé troppo facili e nelle sue classi rese ancora più favorevoli agli studenti dall’inghippo dello scambio tra il testo per i DSA e quello per gli altri. Insomma, almeno sul latino il professor Caudano vorrebbe tenere il punto e che la scuola, o perlomeno lui, mostrasse di funzionare con una parvenza di serietà. Oltretutto, da inizio anno, per non dire da sempre, lui ha teorizzato che, una volta raggiunto il numero di voti stabiliti dalla legge, nessuno può pretendere interrogazioni o verifiche in più: “La scuola”, ha tuonato ancora a metà aprile, “vi educa se vi insegna che bisogna ottenere i risultati necessari entro il numero di prove concordato; se invece vi viene incontro offrendovi occasioni fino allo sfinimento affinché possiate lucrare uno stento, fragilissimo 6, allora vi diseduca, facendovi credere che la vita conceda infinite opportunità, quando il più delle volte funziona come un’implacabile ghigliottina”. Tutto vero, forse anche tutto giusto, e forse il professor Caudano ci crede con tutto se stesso. Ma ora davanti ha gli occhi scuri e profondi di Anita Maria Muñoz che lo fissano e gli chiedono aiuto.