Il prof. Caudano, quest’Atalanta un po’ «sospesa» e la speranza che, alla fine, il genio di Gasp risolva pure questi guai

storia.

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“P rima sera di freddo”, pensa il professor Caudano mentre il venerdì si ripiega su se stesso e la luce dei lampioni colma la trasparenza delle strade. Le spazza un vento inclemente e inatteso. Nel mattino, Elvio ha avuto due ore in prima e poi due ore in quinta. La prima lo diverte. Vede quei ragazzetti ancora piccoli, impressionabili, un poco spaventati dalla scuola nuova; le ragazze solo un poco più sicure, almeno nel ripararsi dietro una ritrosia che sembrano ritenere legittima, se non doverosa. Lui, dal canto suo, appare come un professore ormai in età, corpulento, schermato dalle sue lenti e dalla sua autorevolezza di uomo posato, fuori dal tempo, ed è in fama di severo e rigoroso. La combinazione è curiosa. Caudano non sa perché la preside gli dia ancora delle prime. Varie le ipotesi che i colleghi al “Leonardo da Vinci” si divertono a formulare, ogni volta: per umiliarlo, perché, disobbediente alle mode e alle innovazioni, è giusto si sorbisca i più piccoli e l’insegnamento dei rudimenti, dice qualcuno; altri oppongono che invece lo valorizza, perché gli consente di impostare il lavoro al biennio e di plasmare classi che con lui, non si può negarlo, imparano presto metodo e disciplina. A lui medesimo, poco importano le ragioni. Mentre, di anno in anno, sempre più lo diverte la distanza di età, e il controllo che gli offre della situazione. I piccoli nei suoi confronti mostrano una sorta di timore reverenziale, ed Elvio se ne approfitta non per vessarli o spaventarli, ma, semmai, per insegnare loro con una rilassatezza che raramente prova con i più grandi, in genere più riottosi. La quinta, appunto. Questa mattina, nella pausa fra le due ore, ha sentito due ragazze chiacchierare. Non che origliasse; erano loro, piuttosto, a non curarsi di lui, che pure era ben visibile, alla cattedra. Forse, hanno creduto di non essere ascoltate solo perché il professor Caudano palesemente navigava in internet. Non visto, curiosava fra le spigolature atalantine, così scarne nel concludersi della pausa per le nazionali. La questione biglietti poco gli cale, essendo il suo tifo un “amor de lonh”, un “amore da lontano”, come avrebbe detto il trovatore provenzale Jaufré Rudel, famoso per il suo amore nei confronti della contessa di Tripoli. Solo, gli dispiacerebbe se la politica societaria snaturasse lo stadio come lo ha conosciuto e amato lui, bolgia, fortino, presidio di passione cui dava il suo contributo anche la cosiddetta “gradinata”, da dove vide la sua prima partita in un settembre lontanissimo. Diventasse terreno di conquista per le tifoserie ospiti o per i camerieri in livrea, ne soffrirebbe.