Al Creberg Teatro arriva Mario Biondi. L’intervista: «Sì, lo confesso: sono romantico»

L’outing. Il cantante mercoledì 2 novembre a Bergamo con nuove canzoni e cover. Alle quali ha aggiunto «Tu malatia», brano in siciliano scritto da suo padre.

Ogni volta che parliamo con Mario Biondi, e accade quando esce un album o arriva in città per un concerto, è come se si chiudesse un cerchio: da qui è partito per la sua avventura artistica nel lontano 2006, al tempo del primo disco «Handful of Soul», e qui torna sempre volentieri. Bergamo gli ha portato bene. Il concerto di mercoledì 2 novembre al Creberg Teatro (inizio ore 21; biglietti disponibili) recupera la data del 24 maggio che saltò per via di altri impegni e del clima drammatico determinato dallo scoppiar di una guerra che ancora non è finita. «Tutte le session di quel primo disco le abbiamo registrate lì in Bergamasca con gli High Five, dal nostro amico Paolo (Filippi, ndr). Dunque passare da Bergamo è sempre un piacere: è una città che apprezzo, ho tanti amici da quelle parti».

Torna con un concerto legato all’ultimo album «Romantic», una sorta di confessione.

«Quasi un outing. Del resto è di moda, tutti lo fanno. Anche io confesso di essere un romanticone, un vecchio che sogna ancora. Il progetto nasce dalla parola stessa. Prima è nato il concetto, l’idea, poi attorno si sono fatte le scelte artistiche. Le canzoni si sono man mano avvicinate. Alcune le ho scritte durante l’anno di gestazione del disco, altre arano cover. Ringrazio il mio manager che ha voluto che inserissi anche “Tu malatia” un brano in siciliano scritto da mio padre. Ce n’era uno in napoletano cantato insieme a Lina Sastri e lui ha insistito perché cantassi quel pezzo di famiglia».

Quanto è stato importante fare quel pezzo?

«Mio padre lo scrisse insieme all’autore palermitano Gaetano Agate nel 1982. Lo fece ascoltare a Pippo Baudo che era direttore del Festival della canzone siciliana. A Pippo piacque molto e così mio padre partecipò alla gara e la vinse. È sempre stato un appassionato di musica e per tanti anni l’ha praticata professionalmente. Da quella vittoria ricevette una grande soddisfazione. Il 45 giri vendette più di 100 mila copie: per lui fu un bell’attimo di successo. Nel tempo “Tu malatia” è entrata a far parte della cultura siciliana, catanese in particolare. Il brano è stato tradotto anche in portoghese, spagnolo. Anche in napoletano. In italiano l’ha cantato Christian».

A proposito di cover, tante canzoni l’hanno chiamata al canto, ma com’è approcciare pezzi che sono stati portati al successo da figure centrali come Sinatra o Herbie Hancock, tanto per far due nomi?

«Per affrontare certi “mostri sacri” ci vuole un po’ di sana incoscienza» (ride). «O più che altro un grande amore. In linea di massima tutte le cover che ho registrato e faccio anche dal vivo sono legate a me da un forte laccio affettivo. Hanno fatto parte di momenti della mia vita che reputo speciali. Non mi sono mai posto il problema di esserne all’altezza o meno. Quando si ama si ama e bisogna anche accettarsi come si è. S’investe al massimo delle proprie possibilità: poi i matrimoni a volte funzionano a volte no».

Ora si riparte nella quasi normalità, anche se la guerra in Europa ancora è in corso. Con quale spirito va in scena?

«Sono legato ai territori coinvolti nella guerra, ci ho sempre lavorato per lungo tempo e con grandi soddisfazioni. Sono dispiaciuto per quello che è successo e sta ancora accadendo. Cerco di tenermi in contatto con gli amici che ho in Russia e in Ucraina. Quanto alla pandemia, ci ha regalato un atteggiamento più guardingo rispetto al prossimo, ma vedo che man mano il pubblico si è liberato, non solo dalla mascherina. C’è voglia di contatto, affettività. Mi sembra che ci si abbracci più volentieri. Le difficoltà rendono più umani».

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