Albero degli zoccoli, ricordi senza fine. Ad Almenno mostra e spettacoli

LA RASSEGNA. Al via sabato 27 aprile ad Almenno San Bartolomeo, esposti i bozzetti della costumista Franca Zucchelli e la riproduzione della cascina del capolavoro di Olmi.

«Così doveva apparire la cascina lombarda alla fine del secolo scorso. Ci vivevano quattro, cinque famiglie di contadini. La casa, le stalle, la terra, gli alberi, parte del bestiame e degli attrezzi appartenevano al padrone, e a lui si dovevano due parti del raccolto». È la didascalia con sui si apre «L’albero degli zoccoli», il capolavoro del regista concittadino Ermanno Olmi, Palma d’Oro a Cannes nel 1978, interpretato da contadini e gente della campagna bergamasca e ambientato nella nostra Bassa, tra Martinengo, Mornico e Palosco. Racconta, dall’autunno 1897, un anno nella vita delle famiglie Batistì, Runk, Finard e Brena, che condividono la stessa cascina. I l film ha lasciato un’impronta indelebile nella nostra terra e non solo. «Nel segno dell’Albero degli zoccoli. Luoghi, retroscena e aneddoti del capolavoro di Ermanno Olmi» è il titolo scelto per il programma di iniziative che, pensate l’anno scorso nell’occasione del 45° del film, si terranno quest’anno al Museo del falegname «Tino Sana» di Almenno San Bartolomeo. L’inaugurazione sabato prossimo, 27 aprile, alle 16: la mostra dedicata al film resterà aperta fino al 7 giugno. Il Museo ha accolto di buon grado questa proposta, perché l’esposizione permanente si focalizza già sul mondo rurale, dove tutto appartiene alla civiltà del legno, dai mobili di casa a una delle calzature più diffuse, lo zoccolo.

«Nel segno dell’Albero degli zoccoli. Luoghi, retroscena e aneddoti del capolavoro di Ermanno Olmi» è il titolo scelto per il programma di iniziative che, pensate l’anno scorso nell’occasione del 45° del film, si terranno quest’anno al Museo del falegname «Tino Sana» di Almenno San Bartolomeo

Ce lo spiega il concittadino Maurizio Plebani, direttore artistico della rassegna dedicata all’«Albero degli zoccoli», organizzata dal Museo del falegname in collaborazione con Centro Studi Martinengo, Pro Loco Almenno e Pianura da Scoprire. Del film Plebani è appassionato cultore e ne è diventato un’insostituibile miniera di testimonianze e immagini continuamente raccolte con scrupolosissima accuratezza: il titolo non è casuale, perché evidenzia il «segno» lasciato nella comunità bergamasca per le ragioni ricordate. «Non solo», aggiunge Plebani: «Nel contesto del Museo del falegname, il segno è anche quello di Batistì nell’albero per costruire il nuovo paio di zoccoli per il figlio Minek che va a scuola. In mostra ci sarà una sequenza delle immagini del film sul taglio e la lavorazione degli zoccoli, accompagnate dal testo preparatorio della sceneggiatura rinvenuto, negli anni scorsi, da don Marcello Fumagalli nell’archivio parrocchiale della chiesa di Santa Maria del Sasso a Cortenuova. Ci saranno anche attrezzi molto simili a quelli usati da Batistì e un tronco di platano, un allestimento per ricordare il gesto costato poi, nella trama del film, la cacciata dalla cascina».

La mostra

«La mostra fotografica, partendo dai luoghi scelti come set, si focalizza sui personaggi, i loro interpreti e i retroscena, approdando a una chiave di lettura», continua Plebani. «Accanto ai venti pannelli fotografici, sarà esposto il modello in scala, di due metri per due, della cascina del film, riprodotta fedelmente. Era stato preparato da un presepista padovano, Renato Brazzolotto, per la mostra annuale di Natività organizzata dalla sua associazione, e da lui poi donato alla comunità bergamasca. Era stato bravissimo, rendendo persino il disegno particolare delle inferriate della casa dei Brena. Per il focus sui personaggi e gli interpreti, si è costruita una sorta di pallottoliere fotografico: su un cartello il nome della famiglia e le fotografie di tutti i componenti. Ogni fotografia gira su se stessa e riporta sul retro le informazioni sul personaggio e l’interprete». Per Maurizio Plebani la ricerca di informazioni in proposito è un impegno costante: «Proprio l’altro giorno il Comune di Calvenzano mi ha comunicato che Giuseppe Brignoli, il Nonno Anselmo del film, non era originario di quel paese come si pensava. Ma con lui sono solo tre gli interpreti delle quattro famiglie su cui non abbiamo informazioni precise. Ci sarà poi un focus sul regista e la sua troupe, con la gigantografia dell’unica fotografia esistente con tutti, dal capo elettricista e dall’aiuto macchinista allo sceneggiatore e alla segretaria di produzione, scattata a Martinengo fuori dal Filandone, con tutti i nomi e la mansioni. Un’immagine inedita».

«Il pezzo da novanta della mostra – evidenzia Plebani – saranno i bozzetti originali della costumista, Franca Zucchelli, scomparsa nel 2022: una decina di disegni più il Nastro d’argento vinto da lei per il film. Formatasi a Brera, aveva anticipato dei disegni per farsi un’idea dei costumi e li aveva mostrati a Olmi prima che il regista scegliesse gli attori. Il disegno più azzeccato è quello con il nonno e la nipotina: sembra di vedere gli interpreti del film, anche se Franca Zucchelli, quando li disegnò, non li conosceva ancora». «Nella conferenza “Le origini dell’Albero degli zoccoli” del 25 maggio – prosegue Plebani – offrirò, infine, una chiave di lettura del film, parlando del seme germogliato nella vita di Ermanno Olmi grazie alla sua esperienza del mondo contadino a Treviglio nella casa della nonna materna, dove andava in vacanza e sfollò poi durante la guerra. Quell’esperienza, trent’anni dopo, sarebbe stata alla base del film». «I tempi sono maturi – conclude Plebani – per pensare a un museo dedicato all’Albero degli zoccoli, con tutto il materiale fotografico, anche inedito e dietro le quinte, e le testimonianze acquisiti. Il film ha tanti e tali spunti che davvero si possono creare più settori e percorsi didattici e multimediali. L’ideale sarebbe aprirlo per il 2028, il cinquantesimo del capolavoro».

Il programma

Tra gli altri appuntamenti del programma, «Scasera» è la conferenza-spettacolo che, prendendo spunti dal film, ricorda antiche tradizioni e usanze contadine, di e con lo stesso Maurizio Plebani e Alberto Di Monaco. Il laboratorio «L’albero che parla di me», per bambini tra i 5 e gli 11 anni, è tenuto da Veronica Masnada e, con materiale cartaceo, cartoncini, spago e fantasia, sarà finalizzato a realizzare un albero. Il docufilm «albero nostro» di Federica Ravera, uscito nel 2018 per il 40° del film, è un’affettuosa raccolta di testimonianze di attori e maestranze che hanno contribuito alla sua realizzazione, con una splendida intervista a Olmi, di cui l’autrice fu collaboratrice negli ultimi quattordici anni di carriera. La rappresentazione teatrale «Te se regordet?», con la compagnia Piccoli Passi e Davide con I Cesti dell’Orso, propone scene ambientate in un passato rurale delle nostri valli, legate a tradizioni, credenze e leggende, tra proverbi e canzoni popolari. All’inaugurazione di sabato prossimo interverrà il cantastorie Luciano Ravasio proprio con arrangiamenti di canti popolari presenti nel film: ci saranno anche attori del capolavoro, soprattutto quelli che, all’epoca, erano nei panni dei bambini. Il tempo passa, ma i capolavori e i ricordi restano.

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