Con l’avanzare del sapere aumenta pure l’ignoranza

Tentare di stilare una sorta di «storia dell’ignoranza» è impresa improba, forse impossibile, ma certamente illuminante.

Ci ha provato Peter Burke, uno dei più autorevoli storici europei, professore emerito di Storia della Cultura all’Università di Cambridge. Ogni epoca ha creduto di aver raggiunto una maggiore conoscenza rispetto a quelle precedenti: «Gli arabofoni parlano del periodo preislamico definendolo “l’Età dell’ignoranza” (al-Jāhiliyya). Durante il Rinascimento, gli umanisti videro il periodo che furono i primi a chiamare “medioevo” come un’epoca di oscurità. Nel XVII secolo Lord Clarendon, lo storico della Guerra civile inglese, descrisse i padri della Chiesa come “grandi luci che apparivano in tempi molto bui”, “tempi di troppa barbarie e ignoranza”». Gli illuministi si sentivano il vertice della razionalità europea.

Ma a Burke è venuto un sospetto, geniale: cosa ne è stato della conoscenza perduta nel corso dei secoli? Oggi che soprattutto l’uso dei social network ha riportato il tema di grande attualità, siamo sicuri di essere davvero meno ignoranti dei nostri antenati? E meno superstiziosi? E meno «animisti»? Burke passa in rassegna la lunga storia dell’ignoranza dell’umanità e ci rivela storie interessanti: «Nell’antica Cina, vennero raccolti dei detti attribuiti a Kong Fuzi, noto in Occidente come Confucio, fra cui questo: “Vuoi che ti dica che cos’è la conoscenza? È sapere sia quel che si sa sia quel che non si sa». E Socrate, pilastro della cultura occidentale, diceva qualcosa di simile.

Esiste un’«ignoranza collettiva», dice Burke. un’ignoranza di classe; un’ignoranza razzista, un’ignoranza di genere... E qualche distinguo va fatto: «Paulo Freire, lavorando nel Nord-Est del Brasile esortava chi insegnava agli adulti ad abbandonare l’assunto che analfabetismo equivalga a ignoranza». Oltretutto, come notava l’economista Friedrich von Hayek, «maggiore è la conoscenza collettiva, grazie alle ricerche degli scienziati e degli studiosi, minore è la condivisione di tutta quella conoscenza che ogni singola mente può assorbire».

Insomma, conclude Burke, «la nuova conoscenza rende possibili nuovi tipi di ignoranza».O come diceva C.S. Lewis, «forse ogni nuovo apprendimento lascia lo spazio per creare una nuova ignoranza». Dovremmo pensarci due volte prima di definire ignorante qualunque individuo, cultura o periodo, poiché semplicemente ci precede. Per dirla con Mark Twain, «siamo tutti ignoranti, solo di cose differenti».

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