Con Manu Chao gran finale per i concerti di «Nxt Station»

BERGAMO. L’ex leader dei Mano Negra si esibirà sabato 23 settembre in piazzale Alpini: evento già sold out.

Con il concerto di Manu Chao, il primo dei due che terrà in Italia, chiude in bellezza la stagione del «Nxt Station» di piazzale Alpini a Bergamo (sabato 23 settembre, inizio ore 21). L’ex leader dei Mano Negra arriva a Bergamo sabato e mette la parola fine a un’estate ricca di appuntamenti. Il concerto, già sold out, potrebbe al momento suonare come l’ultimo appuntamento con la musica popolare ad alto richiamo, visto che per un po’ di tempo la città resta orfana di spazi invernali adeguati, dopo il discutibile smantellamento del Palacreberg.

Ribelle, anticonformista, antiglobalista, Manu Chao è un «vagabondo» che ha passato i 60, ma non s’è messo a riposo, anzi. Francese di nascita, figlio di genitori spagnoli trasferitisi in Francia ai tempi della dittatura di Francisco Franco, al secolo fa Josè Manuel Arturo Tomás Chao Ortega. Oggi vive a Barcellona e continua a fare musica lontano dai circuiti del mainstream. Quando era alla testa dei Mano Negra suonava col fratello Antonio e il cugino Santiago Casariego. Con loro pubblica nel 1991 l’iconico album «King Of Bongo» e da lì diventa famoso non solo in Francia. Dopo quel successo sceglie di affrontare la carriera da solista sbancando il mercato con il primo album «Clandestino». La canzone omonima farà il giro del mondo e diverrà un inno sul tema delle migrazioni, degli «illegali», dei clandestini. Un pezzo che col segna un’epoca che, a dispetto del tempo che passa, sembra durare. Se è vero che cambiato i tempi, è altrettanto vero che certi problemi restano e semmai diventano più assillanti, difficili da risolvere.

Detto questo, l’avventura artistica di si! Chao ha conosciuto momenti di grandissimo fulgore, sostenuti da una discografia esemplare. La sua figura è diventata un riferimento per almeno due generazioni di ascoltatori impegnati, attenti al sociale, ai temi della contemporaneità. Il suo non può essere ridotto alla stregua di un canzoniere meramente politico, perché questo vorrebbe dire sminuirlo in qualche modo. Manu Chao ha impugnato spesso e volentieri la bandiera dell’impegno, ma dando alla sua musica un valore artistico sempre riscontrabile. Nel tempo la sua musica ha continuato a parlare, a combattere per le sorti del mondo, anche se è diventata un poco «clandestina», sempre caratterizzata dall’intreccio di lingue e stili. Per ascoltarla adesso bisogna andare a cercarla, una volta risuonava ovunque ti girassi. L’ultimo domicilio conosciuto è «Clandestino/Bloody Border», una ristampa con qualche inedito. Fa testo anche il brano realizzato in collaborazione del musicista giamaicano Cedric «Congo» Myton e con lo spagnolo Chalart58.

Il titolo «Free The People» ci ricorda che i temi a cuore sono sempre quelli. Tematicamente il pezzo è il seguito naturale di «Todo Llegará». Manu Chao continua a parlare di speranza, di ritorno alla legalità, laddove i diritti umani sono violati. Ma la libertà è anche quella di prendersi altri spazi, altre dimensioni. Manu l’ha fatto dopo l’album «La Radiolina»: è sparito dai radar della musica commerciale, continuando nel suo cammino d’artista-attivista. Oggi il cantante simbolo del G8 di Genova, dei movimenti no global ancora resistenti, continua ad essere impegnato, continua a cantare, suonare la sua musica meticcia. Una volta veniva definita patchanka, oggi il termine è in disuso, ma l’espressione popolare è la medesima: una fusione di stili, musiche e culture differenti. Le stesse che animano ancora le canzoni di Manu Chao, che tanto intensamente hanno caratterizzato il no globalismo freak, a cavallo dei due millenni. A quel tempo hanno fatto da colonna sonora a ogni manifestazione pacifista del pianeta. Ora non suonano fuori tempo.

La dimostrazione è data da «Clandestino», un pezzo che suona di piena attualità, con le chitarrine in levare, gli ottoni filtrati, le pennellature elettroniche. Ha un groove anticipatore, subito riconoscibile. Mette in movimento chi ascolta con quel sound che l’artista ha replicato in molte sue produzioni successive. Quasi fosse un marchio di fabbrica.

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