Il jazz di Bollani: l’improvvisazione diventa magia - Guarda il video

IL CONCERTO. Sold out venerdì sera al Lazzaretto al concerto di Stefano Bollani per Bergamo Jazz: un viaggio tra canzoni e improvvisazione.

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Pochi minuti di ritardo dall’orario di inizio del concerto ma subito Stefano Bollani impone la sua versione del jazz per trio, formula che costituisce un canone nel canone jazzistico, architettura sonora che nell’equilibrio tra il principe degli strumenti e quella ritmica archetipa costituita da contrabbasso e batteria, ha istruito nelle estetiche della musica d’oggi un caposaldo irrinunciabile. Sostiene Bollani, per questa via, il primato di un codice linguistico che alle grammatiche e alle sintassi del jazz proprio non rinuncia. Ieri sera questa nuova punta di diamante nella programmazione concertistica di «Lazzaretto estate» ha battuto le strade dell’ortodossia, nella migliore accezione del termine.

L'intervista a Stefano Bollani prima del concerto. Video di Roberto Vitali

Dopo la macchina da guerra degli Snarky Puppy, band in libera uscita dagli stilemi del jazz, in sintonia con un pubblico che per questioni anagrafiche, prima ancora che di gusto, non si riconosce punto nel primato dello swing, del walking e della invenzione dentro e attorno ad un giro armonico, la platea di Bergamo jazz ha incrociato la strada maestra dell’improvvisazione jazz. Platea al gran completo, con un sold out che ha accolto il sovrappiù di pubblico sul prato erboso della struttura monumentale. Dando la stura ad una nuova fascia di biglietti che avrà replica anche per l’atteso concerto di Pat Metheny mercoledì 19, anch’esso tutto esaurito (inizio ore 21.30). Tornando allo spettacolo di suoni e di ritmi inscenato da Bollani, va ribadito quanto la formula del jazz, quella nota ai più, eluda cliché e meccanismi a patto che in cattedra salga non il talento virtuosistico ma l’intelligenza musicale.

Quella che consente a Bollani di giocare con le note, con gli accordi, con il beat, dando sfogo sì ad un talento fuori dalla norma ma che non ricerca primati. Chiaroscurale il confronto con la band a stelle e strisce che ha aperto la trilogia di concerti voluti da Bergamo jazz, festival che con sempre maggiore convinzione sta ipotecando un futuro di rilievo per la sua stagione estiva. Rutilante e ipnotica è parsa la musica di Michael League, quanto il jazz di Bollani si è preso il lusso di giocare di fioretto, di gesti accennati, di sapide impennate mai fuori controllo. Curiosamente è Bollani a coltivare una visione delle pratiche musicali davvero sfaccettata e ricca. La sua frequentazione dei linguaggi musicali è onnivora.

Lo ha dimostrato in più occasioni, anche come divulgatore, a proprio agio con l’intrattenimento, con il pop, con il dettato notazionale dei repertori colti, con il rock, quello più sfrontato e coraggioso, con l’amata musica brasiliana. Pure ieri ha fatto jazz, prendendosi la libertà di istituire un repertorio tutto costruito attorno al Bollani autore, con tanto di puntate nelle sue fantasmagoriche canzoni («Arrivano gli alieni»), avvalendosi del collettivo offerto da Gabriele Evangelista al contrabbasso e Bernardo Guerra alla batteria. Un’ortodossia apparente, che sa di doversi reinventare creativamente ogni volta, anche quando le movenze sono proprio quelle del jazz d’antan e che ha il grande pregio di abbinare all’intensità e serietà del gesto creativo ispirato il sorriso giocoso e felice con un’incursione finale nella melodia dei Flintstones.

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