L’anziana e la giovane, unite imparano a far fiorire le ferite

Violette è un’anziana maestra che compone haiku, Capucine una giovane ferita e piena di rabbia, che si dedica alla cura degli altri per dimenticare se stessa. Comincia così la storia delicatissima e coinvolgente di «Far fiorire le ferite» di Delphine Pessin (Il Castoro). Capucine inizia uno stage di dieci settimane nella casa di riposo «Bel Air» senza troppe aspettative: sta seguendo un indirizzo professionale di «Accompagnamento, cura e servizi alla persona», scelto quasi per caso e per noia. È ancora incerta su quale direzione dare alla sua vita.

L’impatto con la vita della casa di riposo per lei all’inizio è spiazzante. «Quando si è vecchi - pensa di fronte a certe strane reticenze - significa che si è vissuto, amato, pianto, che si è stati coraggiosi, codardi, stupidi e innamorati. Che si sono commessi errori e si sono fatte scelte. Che cosa c’è di male a dirlo chiaramente?».

Poi incontra Violette. Entrambi i loro nomi indicano dei fiori: la violetta, che fiorisce d’inverno, e Capucine che in francese indica il nasturzio; questo sembra quasi un segno del destino, perché nasce fra loro un profondo legame d’affetto, diventano risorsa una per l’altra. Violette è entrata nella struttura dopo una caduta, e accetta con grande fatica la perdita dell’autonomia, all’inizio vorrebbe addirittura lasciarsi morire di fame. Capucine, da parte sua, è stata coinvolta con tutta la sua famiglia in un grave incidente d’auto in cui la madre è morta, lei è rimasta per qualche giorno in coma, e di questo dà la colpa al padre. Per nascondere la cicatrice indossa parrucche dai colori sgargianti, che le servono per nascondere il dolore e sono un segno di quanto sia difficile per lei lasciarsi quel tragico evento alle spalle per proseguire nella sua strada. La giovane donna e quella anziana finiscono per aiutarsi a vicenda: conquistano un nuovo equilibrio e grazie al loro legame imparano a guardare il mondo con occhi diversi. Violette scopre che la casa di riposo è un luogo dove può vivere, e non solo aspettare la morte, e trova così energie anche per reinterpretare il rapporto con il figlio Antoine. Capucine scopre particolari inaspettati del suo passato, che le offrono nuove chiavi di lettura dell’incidente, ricuce il rapporto con il padre, impara ad accettarsi così com’è, a costruirsi il futuro che desidera. Come le dice l’amico Romain, «abbiamo tutti crepe e fessure. Puoi nasconderle, cercando con tutte le forze di credere che non esistano, oppure accettarle e rimediare». Così in questo romanzo tutti i personaggi trovano un modo umanissimo, semplice e concreto, per «Far fiorire le ferite», sciogliere i nodi, e assaporare la vita fino alla fine.

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