L’Elisir, atto d’amore per Donizetti e la città: una grande festa nel teatro restaurato - Foto

L’opera del grande compositore ha celebrato il ritorno della musica nel teatro dopo i restauri. Da antologia il Nemorino del tenore messicano Javier Camarena, ovazione anche per l’Adina di Caterina Sala.

Elisir è Bergamo, è la nostra bandiera. Ieri sera sventolavano le bandierine giallorosse tra il pubblico. Una grande festa per il teatro Donizetti è andata in scena con «L’elisir d’amore» inaugurale del Donizetti Opera. Il teatro festeggia Bergamo, la città - più internazionale che mai con i delegati di Opera Europa - ha festeggiato il suo teatro e il genio di Gaetano col suo capolavoro comico sentimentale. È la stessa gioia che, dopo un lungo arco di tristezza e dolore, corona il sogno d’amore di Nemorino. Sul palco appariva una bambina con una corona di cartone: salutati gli spettatori timidamente, ha regalato il primo «benvenuto» al pubblico del Donizetti gremito.

Prima del melodramma un pizzico di prosa di preludio alla lirica: il «maestro di cerimonie» Manuel Ferreira salutava perché «senza il pubblico la sera non sarebbe speciale». Guidava gli spettatori a cantare il «Brindisi» corale, portandosi a casa un applauso scrosciante e liberatorio. Si rinnovava così il senso profondo del teatro musicale di Donizetti, «rito comune» tra palco e platea e «celebrazione del ritorno della musica: tutti speriamo che questa serata sia un elisir per la vostra anima» concludeva il cerimoniere.

In questo «Elisir» del regista Frederik Wake-Walker c’è un’anima infantile che ritorna a più riprese. Evidente nel teatro di burattini che apre il II atto, non diverso da quello installato sul Sentierone appena inaugurato, davanti al Donizetti. L’anima infantile è la stessa che distingue l’ingenuo Nemorino, prototipo del contadino bergamasco di buon cuore, e che bambini attori affiancano nell’evolversi della vicenda.

Che poi lo spettacolo sia Bergamo, il suo «centro» e il suo teatro restaurato, lo dicono a chiare lettere le scene di Federica Parolini, fondali vecchio stile o tele dipinte con il centro piacentiniano addobbato con lunghi drappi rossi. Per dire che la festa del teatro e di «Elisir» è, appunto, la festa della città di Donizetti e dei suoi abitanti, concittadini di Nemorino. I bambini sono una trama in filigrana: «Elisir» è un gioco, ma anche realtà, che arriva al cuore. Il cast vocale è di raro equilibrio e qualità e da solo va annoverato tra i più ridenti per ponderazione ed equilibrio. Certo, la star Javier Camarena si è preso presto la scena, il suo timbro morbido e incisivo modella le parole e trasforma il suono in teatro: il tenore messicano ha uno smalto nobilissimo e disegna un Nemorino da antologia.

Al suo fianco regge benissimo l’Adina di Caterina Sala, elegante e smaliziata, forte di un colore brillante ed omogeneo, con acuti limpidi e torniti (ovazione per entrambi). Anche la Anais Mejias nella sua parte (Giannetta) si fa notare per l’ intensità di squillo. Ma sono davvero bravi e convincenti sia come musicisti raffinati e smaliziati, oltre che come attori, il Belcore di Florian Sempey e il Dulcamara senza eccessi di Roberto Frontali. Quella di Frontali è una rappresentazione d’autorevolezza, caricata di un sottile velo umoristico. Sempey ha un colore nitido, non troppo stentoreo, tratteggia bene le frasi, anche quelle un po’ pompose, ma senza eccessi.

C’era poi attesa per il risultato dell’orchestra con strumenti d’epoca «Gli originali» di Enrico Casazza, diretta dal direttore musicale del Festival Riccardo Frizza. In effetti gli esiti sono stati molto interessanti: suoni meno aggressivi, equilibri naturali con le voci e alcuni timbri più morbidi, quasi color pastello: i fiati in generale, ottoni e legni in particolare. Ad esempio era commovente l’assolo di fagotto inconfondibile che accompagna la «furtiva lagrima» ormai mitica. Frizza ha guidato l’orchestra e il coro Donizetti Opera (preparato da Fabio Tartari) con pragmatismo ormai noto, con una scelta di tempi ragionata e non concitata. Per arrivare al cuore di Gaetano non occorre correre, si arriva passo dopo passo.

GIOVANI, MELOMANI E VOLTI NOTI: NEL FOYER È UNA GRANDE FESTA
Un distinto signore entra nel foyer scintillante con giacca e t-shirt della «Donizetti Night». E fuori dal teatro riaperto alla città, dopo il lungo restauro e il doloroso periodo della pandemia, c’è una festa Pop-olare. Si celebra il teatro che si apre alla piazza, che si fa sentire, che può essere per tutti. È il rullo dei tamburi che sale da via Tasso, in arrivo c’è la banda al completo. Si ferma davanti al teatro, epicentro del centro piacentiniano rinnovato (anche se a metà), sul pavé quasi intonso, sullo sfondo la grande ruota panoramica, tutta una luce rossa. Anche chi passa per caso di lì può vivere quell’atmosfera da «prima».

È un grande ritorno, attesissimo, e non solo dagli habitué. La chiusura del teatro ha creato più di un’aspettativa. Anche tra i giovani: «Sono curiosa di vedere com’è diventato il Donizetti – racconta una ragazza –, non ci vengo dal liceo». E poi, sì, ci sono i melomani, trepidanti di sedersi sulla «loro» poltroncina, di riempirsi gli occhi con le luci degli immensi lampadari di cristallo: «Era da tempo che aspettavamo questo ritorno - dice un signore mentre attende nella fila dei palchetti -. Non vediamo l’ora».

Arrivano i volti noti. L’assessore alla Cultura del Comune di Bergamo Nadia Ghisalberti, avvolta in un cappottino bianco, accompagnata dal figlio Gabriel: «È un’emozione che si rinnova ogni anno – dice –. Ma questo momento è particolare, perché è la prima vera apertura del teatro alla città». C’è anche l’ex assessore Enrico Fusi, che parla di «sogno che si realizza». Entra dirompente il direttore artistico del festival, Francesco Micheli. È felice: «In questi mesi ci sono stati momenti speciali che hanno segnato la vitalità di un’istituzione che nonostante la difficile situazione non si è mai piegata. Ma è questa la vera inaugurazione, sono emozionato». Arrivano Giorgio Berta, presidente della Fondazione Teatro Donizetti; Maria Cristina Rodeschini, direttore dell’Accademia Carrara. Va avanti e indietro nel foyer il direttore della Fondazione Teatro Donizetti Massimo Boffelli: «È la festa del teatro e del suo pubblico. È tutto esaurito, ci sono persone da tutta Europa, è stupendo».

Ospiti anche dagli Stati Uniti e India (presente il direttore dell’opera di Mumbay Gian Galeazzo Ganzarolli). Arriva in tempo per il suono della campanella il sindaco Giorgio Gori (domani dovrebbe fare il bis con la moglie Cristina Parodi): «Ritrovare il Donizetti e il suo pubblico è per me motivo di vera felicità, la chiusura di un cerchio caratterizzato da tanto lavoro iniziato anni fa e felicemente concluso nonostante il drammatico imprevisto della pandemia. Abbiamo già vissuto momenti emozionanti, ma un teatro è vivo solo quando lo riempie il suo pubblico: questo è il vero ritorno».

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