Montagne orobiche tra dipinti e fotografie

CAPITALE DELLA CULTURA. Si apre venerdì 23 giugno la mostra «Vette di luce» che giustappone il paesaggismo pittorico e la ricerca del giapponese Ishikawa.

Per i bergamaschi (come per i bresciani) la montagna è una «magnifica ossessione». Di più, è casa. Accademia Carrara, dunque, sa di toccare corde profonde proponendo per l’estate della Capitale della Cultura la mostra «Vette di luce» (da domani al 3 settembre). Curata da Filippo Maggia e Maria Cristina Rodeschini e realizzata in collaborazione con la sezione di Bergamo del Cai, si propone di raccontare le Alpi Orobie facendo dialogare la pittura dell’800 con gli scatti del fotografo-alpinista giapponese Naoki Ishikawa. A lui è stata commissionata una rilettura delle nostre montagne, realizzata in tre campagne condotte nell’ultimo anno, percorrendo l’Alta Via in tre stagioni differenti.

I due percorsi

E se la montagna va al museo è poi il museo che va alla montagna e anche alla pianura, attraverso due percorsi: il primo presenta le fotografie di Ishikawa in cinque luoghi del territorio (Fra.Mar a Pedrengo, Castello di Malpaga, Bgy Milan Bergamo Airport, Resort Belmont a Foppolo, Museo Etnografico di Schilpario); il secondo colloca riproduzioni di opere della Carrara in 17 rifugi Cai della provincia bergamasca, verso i quali saranno organizzate altrettante escursioni. Il progetto è stato presentato ieri in Carrara dai due curatori, dall’assessore alla Cultura Nadia Ghisalberti e dal general manager di Accademia Carrara Gianpietro Bonaldi.

È un vero peccato che l’itinerario in museo non faccia dialogare a tu per tu pittura e fotografia, presentandole invece in sale separate, tuttavia il «viaggio» è suggestivo, con la sorpresa di scoprire che, contro ogni aspettativa, lo sguardo che un giapponese posa sulle nostre Orobie non è poi così lontano dal nostro. Partono per il loro cammino in tempi molto diversi, i nostri pittori-fotografi-alpinisti. Ma, come evidenzia la mostra, hanno una méta condivisa. Eccolo, nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, il drappello degli allievi della Carrara, attrezzati di pennelli, colori e tavolozza, incamminarsi lungo i sentieri insieme al maestro Cesare Tallone che, affascinato dai nostri monti, spesso li accompagnava in escursioni en plein air.

Sembra di vederlo in carne ed ossa il pittore Ermenegildo Agazzi, attraverso il ricordo dell’allievo Musitelli: «Mi è al fianco, io lo rivedo vivo, scattante; la pipa in bocca, la cassetta a tracolla, il cavalletto sotto l’ascella e nella destra un paio d’assicelle alquanto grandi, tenute insieme da due strisce di stoffa, come quelle che usavamo noi per portare i numerosi libri a scuola. Una tirata alla pipa e poi, quasi guardando di sottecchi i fianchi turgidi e la vetta rocciosa del Pizzo Redondo, sbotta: “Varda quella marsinna lì del sèttcent! Con quèi ricamm d’argent, quij strasciàd!”».

Rivivono nel racconto della moglie Adele anche le centinaia di partenze per i monti del fotografo Tito Terzi (autore che non è presente in mostra, ma che è quasi inevitabile citare). Una vecchia Nikon dalla custodia consumata all’inverosimile, le pellicole, gli occhialini da esploratore per proteggere gli occhi quando andava sulla neve: «Partiva carico di attrezzatura: una macchina per le diapositive e una per il bianco e nero, con quelle pesanti valigette rigide; le pellicole di scorta; i filtri di diverse tipologie; il pennellino a soffietto per spolverare l’obiettivo; il binocolo che gli avevano regalato i genitori quando era ragazzo».

I cammini contemporanei di Ishikawa

E poi ci sono i cammini odierni di Ishikawa (nato a Tokyo nel 1977, assente alla presentazione di ieri) vegliati dalle guide del Cai, cominciati con un senso di scoperta per poi ritrovare atmosfere familiari, soprattutto in quella «cultura delle baite» che tanto evoca quella delle montagne giapponesi: «Non conoscevo le cime europee, le Alpi Orobie sono state il mio primo incontro con questo paesaggio montano. Ho potuto esplorare e percorrere i sentieri che collegano una vetta all’altra, camminando da un rifugio all’altro, salendo e scendendo attraverso villaggi e valli, incontrando le comunità che li abitano. Via via ho iniziato a percepire l’intera montagna come un corpo unico che andavo assimilando passo dopo passo».

C’è, infine, l’ascesa collettiva immaginata nella video-installazione del duo artistico Masbedo (protagonista, insieme a Matteo Rubbi, delle due incursioni in mostra dell’arte contemporanea). «Ricordo di un dolore» è la salita silenziosa verso la Presolana di un uomo che porta sulle spalle una riproduzione del dipinto di Pellizza da Volpedo. Lungo il cammino pascoli e boschi cedono lentamente il passo a un paesaggio sempre più aspro e scosceso. Il paesaggio materializza quel vuoto che leggiamo nello sguardo perso di Santina. In quegli occhi e su quella vetta leggiamo tutto un mondo che finisce. E un altro che rinasce.

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