«Vecchio e nuovo, un confronto ci vuole altrimenti Città Alta diventa un museo»

PIAZZA VERDE. Lunedì 17 aprile a Milano si presenta la doppia Piazza verde Bergamo/Brescia per l’anno di Capitale della Cultura. Martin Rein-Cano spiega le linee del suo intervento a settembre in Piazza Vecchia, ma guarda anche a Città bassa.

A Milano, nella sede in via Festa del Perdono dell’Università degli Studi, in occasione della Design Week oggi Comune di Bergamo – con il sindaco Giorgio Gori - e Arketipos presentano ufficialmente i due progetti delle Piazze Verdi di Bergamo e di Brescia (quest’anno con la Capitale si raddoppia) per la XIII edizione del Landscape Festival – I maestri del paesaggio, che si terrà come tradizione a settembre: autori Martin Rein-Cano per Bergamo e Silvia Ghirelli per Brescia.

I due progettisti a Milano aprono la mostra «Interni Design Re-Evolution» allestita nei chiostri dell’ex Ca’ Granda, due installazioni che contengono un’anticipazione dell’intervento su Bergamo/Brescia: «Grow together, Grow green / 10k+» è il titolo dell’installazione di Rein-Cano all’interno del Cortile d’onore: una struttura alta 6 metri conterrà 6 mila diverse piccole alberature, che i milanesi potranno «adottare».

Chi è Rein-Cano

Rein-Cano è un professionista pluripremiato, fondatore nel 1996 dello studio Topotek 1, con sedi a Berlino e Zurigo. È nato a Buenos Aires 56 anni fa, ha studiato Storia dell’arte all’Università di Francoforte e Architettura del paesaggio a Hannover e Karlsruhe. Si è formato a San Francisco nello studio di Peter Walker e Martha Schwartz. Topotek 1 è un team al tempo stesso concettuale e «scenografico», che lavora all’incrocio dei campi del paesaggio, dell’urbanistica e dell’architettura. Partecipa a un’ampia varietà di progetti internazionali. Rein-Cano è stato docente ospite in Europa e Nord America, ad esempio all’Università della Pennsylvania e a Harvard.

Lei sostiene che l’architettura si deve adattare al luogo in cui opera.

«Noi cerchiamo di lavorare in modo olistico: è molto importante cercare di capire un problema dalle sue radici, per renderci conto di cosa fare e non avere preconcetti. Cerchiamo di conoscere il background culturale, economico, sociologico, politico di una situazione. Pensiamo in una maniera olistica perché affrontiamo diverse prospettive: se fossimo solo architetti o solo paesaggisti o urbanisti, o solo economisti sconteremmo una certa deformazione professionale. Le visioni di un progettista di solito sono condizionate dalle sue competenze: noi cerchiamo di aggirare questo fatto e di trovare soluzioni tagliate su misura. Non ci basta creare qualcosa che abbia semplicemente un’attrattiva estetica, vogliamo indagare anche il retroterra: il nostro lavoro è guidato dal contenuto».

Ha già esplorato Bergamo?

«Ci sono stato due volte ma non la conosco ancora bene: è una città incredibilmente bella, specialmente questa alternanza tra Città Alta e Città bassa, questo sdoppiamento, penso ne facciano una città unica, non esiste niente di paragonabile: Bergamo mantiene questa differenza nitida dei piani urbani, altrove la divisione non è così chiara. E questo è davvero interessante. Quando abbiamo cominciato a lavorare su questo progetto, due cose mi sono apparse subito molto importanti: ci è stato chiesto dagli organizzatori di interpretare l’idea di “crescere insieme”, di un “guarire insieme” - vista la situazione che la vostra città ha vissuto durante la pandemia. In giro ci sono molti “festival del verde” che implementano soluzioni temporanee, ma ho subito pensato che oggi questo non basta più, non solo a causa del Covid ma anche del cambiamento climatico: molti fattori ci spingono verso una responsabilità più forte rispetto ai problemi del nostro ambiente. Mettere in piedi per un evento delle installazioni che poi andrebbero buttate è qualcosa che non dovremmo più fare. Ho chiesto subito di poter realizzare elementi riutilizzabili, che abbiano una durata. A Bergamo questo “crescere insieme” ho pensato potesse avere due significati: portare nuovi elementi vegetali per incrementare il verde, non solo in Piazza Vecchia ma anche in altre parti della città; e si possono creare delle specie di “sculture urbane”, dei salotti dove potersi sedere a discutere e sperimentare gli spazi in modo nuovo, modificando un po’ il modo di vivere la città».

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