Colori, pennelli, musica e supereroi per trovare la forza di rinascere ancora

LA STORIA. Nancy Ghislanzoni, nata con l’anemia di Fanconi come il fratello Warner, si è sottoposta al trapianto di midollo.

La speranza, come scrive Emily Dickinson in una delle sue poesie più popolari, è «quella cosa piumata/ che si viene a posare sull’anima». Una presenza impalpabile, leggera, che sfugge continuamente, soprattutto nei momenti più bui: nonostante tutto Nancy Ghislanzoni, 30 anni, impiegata di Casnigo, nata con l’anemia di Fanconi, ha saputo custodirla con tenacia e delicatezza, alimentandone la fiamma con l’affetto e il sostegno costante della sua famiglia.

La sua è una storia di malattia e di rinascita: sei mesi fa è stata sottoposta a trapianto di midollo, donatole da sua madre Daniela, all’ospedale Gaslini di Genova, unica opportunità per salvare la sua vita e il suo futuro. Anche durante i lunghi soggiorni in ospedale Nancy non ha perso il suo sorriso, e ha coltivato le sue passioni per la musica e per l’arte, affiancata da amici speciali come Mattia Villardita, che nei panni di Spiderman è diventato il supereroe più amato dai pazienti dei reparti di pediatria di tutta Italia.

Anche il fratello di Nancy, Warner, 27 anni, ha la stessa malattia. Nel suo caso, però, il trapianto è stato eseguito 15 anni fa grazie a un donatore, che si trovava a Detroit, negli Stati Uniti (per informazioni sulla donazione e sul trapianto di midollo si può consultare il sito dell’Admo www.admo.it).

Una patologia rarissima

L’anemia di Fanconi è rarissima, colpisce da tre a cinque bambini per ogni milione di nati. È caratterizzata dalla variabile e progressiva presenza di insufficienza midollare, malformazioni congenite e predisposizione allo sviluppo di tumori. Non esistono terapie risolutive, ma trattamenti studiati su misura per ogni paziente, per attenuare la gravità dei sintomi. «Mi hanno detto che era impossibile che entrambi i miei figli l’avessero - sottolinea Daniela - eppure è successo».

Questa famiglia ha avuto bisogno di un supplemento d’amore e di coraggio, per affrontare le difficoltà: «Quando avevo tre anni e mezzo - ricorda Nancy - dopo un episodio di febbre altissima sono finita in coma. Mi hanno ricoverato all’ospedale di Alzano Lombardo, dove mi hanno sottoposto ai primi esami, fino ad arrivare alla diagnosi. All’inizio pensavano che avessi la leucemia, perché i segni caratteristici sono simili. Poi però sono affiorati elementi che hanno portato gli specialisti su una strada diversa. Dopo qualche tempo ci siamo rivolti a un centro specializzato di Monza. I casi di anemia di Fanconi sono pochissimi in tutto il mondo e in passato i bambini con questa patologia non superavano l’infanzia. Ci siamo informati attraverso l’Airfa, Associazione italiana per la ricerca sull’anemia di Fanconi».

Il destino di Nancy e Warner, fortunatamente, è stato diverso: «All’inizio - sottolinea mamma Daniela - eravamo disorientati, perché nessuno conosceva questa malattia. Abbiamo trascorso periodi molto lunghi in ospedale, un vero calvario. Finalmente siamo riusciti a sottoporre Nancy al trapianto, lo aspettava da anni ma è stato rimandato più volte, perché era troppo debole. Fortunatamente la ricerca progredisce, a renderlo possibile sono state le nuove terapie e i nuovi studi. Dobbiamo ringraziare Carlo Dufour, direttore del Polo Onco-Ematologico e Maura Faraci, responsabile del Centro Trapianto di Midollo Osseo e direttore del Programma Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche del Gaslini di Genova con le loro équipe».

Passioni per crescere

La malattia nel frattempo si è portata via l’infanzia e la giovinezza di Nancy: «Non ho potuto fare le stesse esperienze dei miei coetanei. Per me era impossibile, per esempio, giocare e saltare come gli altri, perché bastava una caduta banale a provocarmi danni importanti. Un incidente da nulla, una spinta, un pizzicotto, potevano causare un disastro. Ne ho risentito molto anche sotto l’aspetto psicologico. Questa situazione delicata ha influito sulle amicizie, sul mio modo di essere. Sono abbastanza chiusa e riservata».

Le persone con anemia di Fanconi, come Nancy, soffrono di molti sintomi simili a quelli della leucemia: inappetenza, debolezza, perdita della muscolatura, perdite di sangue improvvise, svenimenti, fortissime cefalee: «È una malattia invisibile, sconosciuta, difficile da spiegare, ma anche molto invalidante, che ha condizionato la mia crescita e quella di mio fratello. La mia valvola di sfogo è sempre stata il disegno, che mi è diventato familiare ben prima di imparare a scrivere».

Usando colori e pennelli Nancy riesce a creare un mondo diverso, dove trovare quiete e bellezza: «All’inizio i medici sostenevano che i bambini con la mia patologia potessero manifestare problemi cognitivi e deficit di creatività. La dottoressa che mi seguiva quando ero piccola portava i miei disegni alle conferenze per dimostrare il contrario. È stata una grande soddisfazione, tanto che custodisco questo ricordo tra i più preziosi della mia infanzia. Noi malati di anemia di Fanconi dobbiamo affrontare la debolezza fisica, e in alcuni casi anche problematiche psicologiche e caratteriali, ma abbiamo anche molti talenti. Considero l’arte come il mio spiraglio, il mio mondo ideale. Vorrei tanto che tutto ciò che mi gira intorno fosse bello».

Quando è arrivato il momento di scegliere l’indirizzo di studi superiori, infatti, Nancy ha scelto una scuola d’arte: «Ho ottenuto un diploma di grafica pubblicitaria e continuo a disegnare, anche se non ho sviluppato una tecnica precisa, applico un po’ tutti gli stili a seconda dell’impulso del momento. Ora che sono cresciuta disegno ancora all’ospedale ma usando l’iPad, sviluppando le mie attitudini digitali. Di recente mi sono interessata anche all’antiquariato, seguire le mie passioni mi aiuta a coltivare la speranza. Per affrontare una quotidianità spesso cupa ho cercato di portare il mio pensiero su binari diversi, immaginando un possibile futuro, senza rinunciare ai miei sogni nel cassetto e alle passioni che possono aiutarmi a crescere».

La stanchezza e la paura

Ci sono stati periodi particolarmente tristi, in cui Nancy ha dovuto fare appello a tutto il suo coraggio: «Nei due anni che hanno preceduto il trapianto le mie condizioni sono peggiorate. Non riuscivo più a gestire la mia routine quotidiana: il lavoro, gli spostamenti. Stavo crollando, mi sentivo debolissima, avevo la sensazione che per me ormai non ci fosse più niente da fare. Dopo 29 anni di cure mi sembrava di portare un carico eccessivo di stanchezza. Avevo perfino detto a mia madre di rassegnarsi, di lasciarmi andare».

Poi le hanno annunciato la possibilità del trapianto: «All’inizio ero un po’ scettica, ma la mia famiglia è riuscita a convincermi. La preparazione è stata molto faticosa, e così il trapianto e il periodo che ne è seguito. Sono stata sottoposta a cicli di radioterapia e chemioterapia, invasivi a livello fisico e psicologico. Il trapianto in sé non è una procedura dolorosa, ma comporta comunque molti rischi. Il periodo successivo è delicato, perché possono verificarsi rigetti molto forti, bisogna tenere i parametri sotto controllo e intervenire al primo cenno di malessere. Per un lungo periodo non si può vedere nessuno, e restare in posti dove non c’è gente, almeno finché il sistema immunitario non ricomincia a funzionare per conto suo. Per un lungo periodo si rendono necessari controlli ravvicinati, per questo non è possibile allontanarsi troppo dall’ospedale, perciò per il momento devo restare a Genova».

La ripresa è stata rallentata da una complicazione inattesa: «Ho contratto il Citomegalovirus, particolarmente insidioso per chi ha appena subito un trapianto, avrebbe potuto anche vanificarne gli effetti. Fortunatamente grazie alle terapie che mi hanno prescritto sono riuscita a superarlo. Nel frattempo ho avuto anche un lieve rigetto, perciò la pelle mi brucia quando mi espongo al sole. Per guarire è necessaria una pulizia del sangue che richiede tempo, ben 14 sedute, per essere completata».

Un’iniezione d’entusiasmo

In ospedale Nancy ha conosciuto tante persone, e fra esse Mattia Villardita, un giovane che ha una storia simile alla sua: ha trascorso molto tempo in ospedale e quando per lui le cure sono terminate ha deciso di trasformare la sua esperienza in energia positiva a servizio di altri bambini malati. Indossa i panni di Spiderman e come un vero supereroe porta sorrisi nei reparti di pediatria degli ospedali italiani. «Quando ha saputo che Nek è uno dei miei cantanti preferiti - sorride Nancy - gli ha chiesto di venire a trovarmi, e lui è arrivato all’ospedale in incognito, vestito da Batman. Poi mi ha invitata a partecipare a un suo concerto. Ci sono andata con un “permesso speciale” concesso dai medici, ho avuto un “trattamento speciale” che mi consentisse di non mettere a rischio le mie condizioni stando a stretto contatto con altre persone. In questa occasione ho conosciuto anche Francesco Renga. È stata una grandissima emozione, mi sembrava incredibile che capitasse proprio a me».

Un’iniezione di entusiasmo che è capitata al momento giusto, offrendo a Nancy una piccola spinta positiva, invitandola a fidarsi di nuovo della vita e di quanto di bello può offrirle: come dice la canzone «Perdonare» di Nek «Rialziamoci da terra, ripartiamo da qui». Purtroppo una cura definitiva non esiste: «Ci saranno sempre - chiarisce la mamma Daniela - controlli medici ravvicinati, perché resta alto il rischio di sviluppare patologie correlate all’anemia, come i tumori».

Nancy va avanti, tiene stretta la speranza e punta lo sguardo su un futuro più sereno: «Quando il mio sistema immunitario ha ricominciato a funzionare, i medici mi hanno permesso di trovare una sistemazione fuori dall’ospedale, in una comunità gestita da un’associazione di volontariato. Qui abbiamo incontrato altre famiglie, alcune hanno bambini piccoli con l’anemia di Fanconi». È nato così il desiderio di dare una mano: «Abbiamo tanti anni di esperienza, perciò cerchiamo di aiutare gli altri con le pratiche burocratiche, offrire un po’ di sostegno morale e qualche consiglio. Questo contribuisce a dare senso al tempo che devo trascorrere lontana da casa».

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