La mia Lodovica sta costruendo la sua vita, è il modo più bello per crescere insieme

La storia. Loredana Plazzoli da sette anni la figlia vive in un appartamento del progetto «Città leggera» del Comune.

«Camminerai e cadrai, ti alzerai/ sempre a modo tuo. Sarà difficile lasciarti al mondo/ E tenere un pezzetto per me/ E nel mezzo del tuo girotondo/ Non poterti proteggere». Ligabue descrive nella canzone «A modo tuo» com’è difficile (e necessario) per un genitore lasciare che un figlio prenda la propria strada.

Quando c’è di mezzo una disabilità, donare «radici e ali» diventa ancor più complicato: «Viene spontaneo pensare che solo un genitore possa accogliere e sostenere la fragilità del figlio», spiega Loredana Plazzoli, che nonostante tutto ha intrapreso un percorso coraggioso con la figlia Lodovica, trentacinquenne, nata prematura, con importanti difficoltà motorie. Da sette anni, infatti, lei vive in uno degli appartamenti del progetto residenziale «Città leggera», nato dal pensiero e dall’impegno dell’amministrazione comunale di Bergamo, rivolto a persone con disabilità e gestito dalla cooperativa «L’Impronta». Loredana invece è rimasta sola, a casa, nel quartiere della Grumellina, dove si ritrovano ancora nei weekend.

«Non è stata una scelta facile - sottolinea - e l’abbiamo costruita in modo graduale. Nasce da un cammino di crescita che abbiamo compiuto insieme, e da uno sguardo più ampio sulla vita e sul futuro». In questo quadro c’è spazio anche per aiutare altre famiglie, e per custodire una visione allargata di condivisione, solidarietà e aiuto reciproco: Loredana, infatti, dieci anni fa ha contribuito a fondare l’associazione di volontariato «I Pellicani», che tuttora presiede, e che si occupa in città principalmente (ma non solo) di trasporto di persone con disabilità. Così ha dato nuovo senso e direzione a una storia iniziata in salita.

«Né io né mio marito - ricorda - sapevamo nulla della disabilità. Avevo problemi di gestosi e mia figlia è nata alla trentesima settimana agli Ospedali Riuniti. Pesava circa novecento grammi e penso sia stata uno dei primi neonati di peso inferiore a un chilo che siano sopravvissuti. Avevo già perso tempo prima una bambina partorita dopo cinque mesi e mezzo di gravidanza, con grandissimo dolore. Così in quel momento mi sono aggrappata alla speranza e ho lottato con Lodovica, perché potesse avere un futuro diverso. Siamo rimaste per cinque mesi in ospedale, attraversando momenti molto difficili. A un certo punto ci hanno detto che nostra figlia aveva una neuro lesione ma non sapevano quale zona del cervello ne fosse stata colpita. Oggi posso dire che nonostante tutti questi problemi Lodovica è riuscita a ritagliarsi il suo spazio nel mondo, ed entrambe ne siamo molto felici».

Lodovica ha dei problemi motori «più sul lato destro che sul sinistro», fatica a parlare ma Loredana e suo marito si sono impegnati fin dall’inizio per aiutarla a trovare strategie alternative: «Le abbiamo insegnato per esempio a semplificare il linguaggio e la costruzione delle frasi. Non sapevamo nulla, anche noi abbiamo avuto bisogno di addestramento. Affrontavamo un problema per volta, cercavamo di creare le migliori condizioni possibili, a volte con un po’ di incoscienza». Ha iniziato fin da piccola percorsi di fisioterapia e riabilitazione: «Nei primi tempi dovevo pensarci io, seguendo in modo accurato le istruzioni della specialista, perché Lodovica non si lasciava toccare da estranei. Non aveva ancora superato il trauma delle manipolazioni invasive subite dopo la nascita. La disabilità motoria richiede molte azioni concrete, come pulire, accudire, spostare, ma Lodovica crescendo ha sempre instaurato buone relazioni con le persone che aveva intorno e questo ci ha spianato la strada in tutte le attività che abbiamo intrapreso, e ci ha reso più ottimisti. Le abbiamo fatto offerto stimoli attraverso esperienze e discipline diverse, compreso lo sci in carrozzina. Quando aveva 14 anni purtroppo sono rimasta vedova e abbiamo dovuto proseguire da sole».

Dopo la morte del marito Loredana si è sentita crollare il mondo addosso, ma non si è persa d’animo: «Ci siamo rivolte a una psicologa, perché aiutasse Lodovica a comprendere meglio i suoi limiti e le sue possibilità. Si è inserita bene nella vita scolastica alla primaria e fino alla secondaria di primo grado, ma non ha mai cercato con insistenza la relazione con i coetanei: preferiva parlare con gli adulti, insegnanti e educatori, che forse le riservavano più tempo e pazienza. È stata comunque accolta bene dai compagni. Ha provato poi a iscriversi alle scuole superiori, ma l’esito non è stato positivo, perciò abbiamo optato per un Centro di formazione professionale».

Spostarsi, muoversi, camminare è sempre rimasto l’ostacolo più importante: «Lodovica riesce a fare due o tre passi se viene sostenuta, ma niente di più. È riuscita a ottenere maggiore autonomia di spostamento grazie a una carrozzina elettrica, ma non esce volentieri, perché non ci vede bene. Prima di trasferirci a Bergamo abitavamo in Valle Seriana e lì ha ancora degli amici, che vengono a prenderla per portarla fuori. Ha un suo stile ironico e simpatico, che le permette di stringere legami di simpatia e amicizia. Dopo i tre anni di studi al Centro di formazione professionale ha iniziato a frequentare il Laboratorio autonomia del Comune di Bergamo. Lì ha trovato una sua dimensione svolgendo diverse attività, dalla piscina al disegno, dalla danza al teatro».

La sfida più grande per Loredana è stata imparare a costruire legami di fiducia, che le permettessero di affidare Lodovica ad altri: «A un certo punto mi sono resa conto che aveva il diritto di costruirsi la sua vita. C’era un appartamento protetto a Boccaleone nell’ambito del progetto “Città leggera”, in cui persone con disabilità venivano seguite da un educatore, ma potevano comunque avere il massimo dell’autonomia. Dopo attenti approfondimenti, colloqui, confronti ci siamo impegnate in un inserimento graduale, all’inizio soltanto diurno. Poi Lodovica ha iniziato a fermarsi per una notte, poi per il weekend. Alla fine le hanno chiesto se si sentiva di lasciare la mamma, vedendola una volta alla settimana. Eravamo entrambe in lacrime, non è stato un passaggio indolore. Lei ha detto “ci provo” e poi ci è riuscita. Sono sette anni che vive in un appartamento di Città leggera. Dopo quell’incontro mi sono resa conto di aver iniziato un processo di condivisione, che Lodovica non era più solo mia, ma in questo modo aveva la possibilità di iniziare una vita autonoma, e ho sentito di aver compiuto la scelta giusta per entrambe».

Nel frattempo Loredana ha coltivato i legami con altre famiglie: «Quando Lodovica era piccola avevo già tentato, senza successo, di creare un’associazione per il trasporto dei disabili. Quando mia figlia ha terminato gli studi e ha iniziato a frequentare il Laboratorio autonomia quest’idea si è ripresentata parlando con gli altri genitori. Insieme siamo riusciti a concretizzarla, iscrivendoci in blocco a un’associazione che una delle mamme aveva già fondato. Il progetto iniziale è stato una vacanza al mare per un gruppo di ragazzi, poi sono state avviate altre attività di trasporto. Abbiamo iniziato con mezzi limitati, unendo una quindicina di famiglie. Alcuni volontari svolgevano i trasporti usando i propri mezzi privati. Poi pian piano, grazie all’incontro con persone motivate e più esperte, siamo riusciti ad allargare il cerchio. Abbiamo raccolto la somma necessaria per acquistare il primo mezzo di trasporto grazie alla piattaforma Kendoo. Poi ne sono seguiti altri. All’inizio c’erano dodici volontari e una quindicina di utenti e portavamo a termine circa 130 trasporti al mese. Adesso i volontari sono diventati 38, con 8 mezzi, 45 utenti e oltre 900 trasporti al mese».

Le finalità dell’associazione si sono allargate, le attività sono cresciute sempre in stretta collaborazione con il Comune: «Abbiamo notato che sta crescendo la necessità di trasportare gli anziani che frequentano i centri diurni, abbiamo esteso la nostra azione anche a loro. Si è creata una forma di solidarietà trasversale, che risponde a necessità diverse, privilegiando sempre persone prive di altre risorse per spostarsi, che senza di noi non potrebbero uscire e usufruire dei servizi. Abbiamo avviato poi un programma di attività pomeridiane rivolte a persone con disabilità, dalla danza alla cucina, seguite dai nostri volontari e da un educatore, per tre volte alla settimana. Nell’estate del 2022 abbiamo portato al mare 50 persone tra ragazzi, educatori e volontari».

Loredana ha messo così la sua esperienza umana e le competenze conquistate negli anni a servizio di altri, concentrandosi sulle relazioni di cura, a partire dai volontari: «È molto importante valorizzare la loro presenza che per noi è così preziosa. Cerchiamo di aiutarli a crescere e di coinvolgerli in modo che capiscano che l’associazione appartiene a loro. Nonostante abbia il mio lavoro e mia figlia, continuo a sentire il desiderio di dedicare tempo e cura a queste persone. L’attività nell’associazione ha cambiato in meglio la mia vita, insegnandomi il valore dell’ascolto, della vicinanza e della fiducia. L’esperienza vissuta con mia figlia mi ha mostrato quanto sia importante stare accanto alle famiglie, offrire appoggio e consigli e a volte aiutarle a compiere scelte difficili, com’è capitato a me. Quest’anno festeggiamo i primi dieci anni dell’associazione “I Pellicani”, nata dall’impegno e dall’entusiasmo delle famiglie. Organizzeremo una giornata speciale per i soci e i volontari a metà aprile: per noi è molto importante che tutti si sentano coinvolti e chiamati a offrire il proprio contributo. Siamo sempre contenti di accogliere nuove persone che vogliano impegnarsi con noi a continuare quest’opera. Le attività che promuoviamo sono espressione di un rapporto di aiuto reciproco che fa di noi una famiglia allargata. Senza i volontari tutto questo sarebbe impossibile. A volte mi chiedo chi me lo fa fare, e la risposta è semplice: sta nel sorriso che ogni volta ricevo dai ragazzi, nel vedere che un limite è stato superato, che un piccolo sogno si è realizzato».

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