«Le mie sculture come una preghiera per superare le difficoltà quotidiane»

LA STORIA. Antonio Guerra, colpito da un tumore 30 anni fa: «Volevo prendere mia figlia in braccio, ora divento nonno». Ed Evan è nato proprio nella notte tra sabato e domenica 7 aprile. Gli auguri da tutta la redazione.

Gli attrezzi per scolpire - cacciaviti, scalpelli, martelli -, per Antonio Guerra, artista di 61 anni, di Calolziocorte, sono come lettere dell’alfabeto di una lingua misteriosa, attraverso curve e spigoli danno forma a un mondo di emozioni. Lavorare materiali diversi - come il legno, la pietra, il marmo, il metallo - è un modo per andare alle radici di sé e lasciar affiorare il proprio lato migliore. A volte, però, spiega Antonio, da questi gesti semplici nasce qualcosa di speciale: si trasformano in preghiera, diventano ponte fra terra e cielo, filo d’amore che dà la forza di affrontare la malattia e le difficoltà quotidiane.

Trent’anni fa il tumore

Sono passati più di trent’anni da quando gli è stato diagnosticato un linfoma non Hodgkin, una neoplasia maligna del sistema linfatico. «Mancava poco alla nascita della mia prima figlia - ricorda -, quando ho iniziato ad avvertire alcuni sintomi, che inizialmente avevo attribuito alla stanchezza. Sono andato dal medico e dopo una serie di esami, pochi giorni prima di Natale, mi hanno detto che era cancro, al secondo stadio. Ho chiesto quanto mi restava da vivere: secondo l’oncologo da tre a sei mesi». Oggi può raccontarlo con lo sguardo sereno e la consapevolezza di aver già pagato un pesante tributo alla paura e al dolore: «Non ho chiesto a Dio di guarire, ma solo di poter prendere in braccio mia figlia AnnaMaria almeno una volta».

La bimba è nata nel breve intervallo tra la radioterapia e la chemioterapia: «Dopo le prime sedute, molto pesanti, perché la malattia lo richiedeva, ho chiesto ai medici di darmi qualche giorno di tempo prima di iniziare il ciclo più invasivo, perché il parto era imminente e volevo avere abbastanza energie per stare accanto a mia moglie Stefania».

Il suo desiderio si è realizzato, ha potuto tenere la figlia appena nata tra le braccia, «un momento di gioia e di commozione intensissima». Questo gli ha dato lo slancio per proseguire le cure: «Ci è voluto un po’ prima di notare i primi miglioramenti. Negli anni ho subito diversi interventi, non è stato facile, ma non mi sono mai arreso. Mi ha sostenuto la fede, mi sono affidato a Dio. La bellezza di essere cristiani sta nella consapevolezza di sentirsi sempre amati. Anche nei momenti più difficili, in cui dovevo portare la mia croce, questo mi ha dato la forza». Non è guarito, ma ha trovato un modo per convivere con il male, ha avuto un’altra figlia, Michela, ha proseguito in modo pieno la sua vita, in cui l’arte occupa un posto importante, come strumento di conoscenza e di resilienza: «Quante cose di noi non conosciamo, quante cose invece possiamo trovare che ci sostengono».

Se affrontare il cancro lo ha messo alla prova, rendendogli più difficili azioni semplici e quotidiane come mangiare e respirare, lo ha anche spinto a sviluppare le sue doti di pazienza e adattamento, e non è comunque riuscito a privarlo del sorriso: «Qualche anno fa mi hanno inserito la Peg (gastrostomia endoscopica percutanea), devo quindi alimentarmi attraverso una sonda, usando una macchina, a cui sto attaccato per qualche ora al giorno. Sono io a immaginarmi i piatti del mio menu, dato che non posso più sentirne il sapore. Non per questo, però, mi lascio abbattere. Sono felice, sono qui con la mia famiglia e non mi manca niente».

Ogni mattina si alza alle 5, «quando è ancora buio» per pregare le Lodi mattutine, assaporando il silenzio della casa, con il suo cane Maja accoccolato ai suoi piedi, mentre tutti ancora dormono. Si sofferma ad ammirare il sorgere dell’aurora, la meraviglia della luce rosata che attraversa i vetri della finestra, e poi, con l’energia che questo momento gli regala, prepara la colazione per tutta la famiglia: «Questo è il nostro momento conviviale: è così bello ritrovarsi insieme. Poi ognuno inizia la sua giornata».

Finché la salute glielo ha permesso ha lavorato come modellista in una fonderia: «I miei datori di lavoro erano persone di cuore, non solo con me ma con tutti i dipendenti, mi hanno sempre mostrato la massima disponibilità».

E proprio oggi Antonio celebra un’altra gioia della vita: la nascita del nipotino Evan, figlio di Annamaria. Il piccolo è nato nella notte tra sabato e domenica 7 aprile. La famiglia per Antonio è il cardine attorno al quale ruota tutto il resto. Nel tempo ha alimentato rapporti di amicizia e di aiuto reciproco che si allargano anche ai vicini: «Abbiamo perfino aperto una porta in più nel cancello per accorciare la strada tra le nostre case attraverso i giardini».

Appassionato di sport, finché ha potuto ha continuato a dedicarsi allo sci e all’arrampicata: «Da giovane ho svolto anche attività agonistica» ricorda con un sorriso. Continuano a essere numerose le attività a cui Antonio si dedica con passione e generosità, sempre a servizio degli altri e della comunità. È ministro straordinario dell’eucarestia, si impegna con assiduità nella sua parrocchia, che per lui è come una famiglia allargata.

Volontario con i ragazzi

Da qualche anno, poi, conduce come volontario un laboratorio con alcuni ragazzi che frequentano un centro diurno di psichiatria della zona, affiancandoli in un percorso di conoscenza e consapevolezza di sé: «C’è anche qualcuno che non scolpisce - spiega - ma viene soltanto per chiacchierare. Cerco di offrire loro ascolto e serenità. Adesso uno dei miei allievi è pronto per diventare a sua volta maestro e tutor, dà lezioni di pomeriggio ad altri giovani. Sono molto fiero di lui e degli altri membri del gruppo, che partecipano con entusiasmo e impegno».

Avviare dei giovani alla scultura richiede tempo e pazienza, spiega Antonio, bisogna procedere in modo graduale: «Il primo passo è sempre il legno, com’è stato per me. Si comincia usando diverse essenze, da quelle morbide come il cirmolo, molto apprezzato in Alto Adige, ad altri legni più duri come il noce o l’ulivo». E poi, pian piano, si può passare alla pietra e al marmo, che richiedono molta attenzione in più: «Martelletto e scalpello sono rumorosi, la pietra non si taglia come burro, ci vuole forza, gli attrezzi richiedono cura e manualità e comportano dei rischi, bisogna usare protezioni e attrezzature adeguate, e procedere con prudenza. Ma è un’attività che dà molte soddisfazioni».

Lui ha imparato come autodidatta, iniziando in tenera età, manifestando un talento spontaneo: «A dieci anni scolpivo il legno con un coltellino. Mi ispiravo alla natura e agli animali che vedevo intorno a me, o ai personaggi dei racconti che ascoltavo dai miei genitori. Crescendo, poi, ho iniziato a interessarmi a forme dinamiche come il fuoco e le figure femminili. Ho provato a usare materiali diversi, dal legno alla pietra e fino al marmo, scegliendo a volte anche particolari venature di colore, come quelle della pietra dorata».

Le opere di Antonio hanno conquistato molti estimatori, che spesso lo incontravano attraverso il passaparola. Così alcune di esse sono approdate all’estero, e ha realizzato anche sculture di carattere pubblico. Tra esse per esempio una particolare Natività, opera in ferro datata 1995, pensata apposta per il Santuario di Santa Maria del Lavello, luogo molto caro all’artista. E poi l’Abbraccio, ben visibile nel piazzale di Vercurago, e Dna – La Spirale della Vita, realizzata nel 2016 a sostegno di Telethon.

Momenti di vita nelle opere

Nel catalogo delle sue opere - che mostra con pudore - si leggono tanti momenti significativi della sua vita: la nascita delle figlie Annamaria e Michela, l’amore per la moglie Stefania, l’unità della sua famiglia, la fede, ma anche l’amicizia, lo stupore di fronte alla natura e alla vita, il senso del mistero, lo slancio verso il cielo. Ha una speciale attrazione per la luce e per il fuoco, che si esprime in forme morbide, «che non stanno mai ferme».

Il suo laboratorio d’arte ora è nel capanno degli attrezzi, in un angolo del giardino. Uno spazio piccolo, semplice molto ordinato, con gli attrezzi appesi al muro secondo una logica precisa, in modo funzionale, gli accessori etichettati e riposti nei cassetti. L’opera a cui sta lavorando è una Madonna di legno, appena visibile nel tronco.

Nelle stanze di casa tiene le opere che gli sono più care, con le quali ha un legame d’affetto, come i ritratti delle figlie e della moglie, nei quali affiora una cura particolare, nella morbidezza delle forme levigate, alcune piccole sculture realizzate per occasioni particolari, ma anche alcuni lavori di altri amici artisti, che lo accompagnano sulle tracce dei ricordi.

«Prima di scolpire un’opera sacra - racconta - spesso mi raccolgo in preghiera, chiedendo di non offendere con il mio lavoro». Spesso nelle sue sculture non si vedono le linee del volto: «Sono i movimenti, i corpi a parlare, a esprimere emozioni. Ci sono tanti modi in cui le forme possono parlare, con la mia ricerca artistica mi sono messo su questa strada».

Se Antonio a volte scrive preghiere, che sembrano poesie e alimentano il suo percorso di fede, la scultura gli permette di «rendere tridimensionale il pensiero». Come avviene, per esempio, nella scultura «Risveglio», la prima realizzata al termine della chemioterapia, in cui si leggono speranza e un’apertura alla vita, come all’inizio di una nuova primavera. Spesso rappresenta la speranza e la vita con fattezze femminili. «L’arte - prosegue Antonio - esprime gioia di vivere. Lavorare a una scultura produce in me una profonda condizione di serenità, che dona nuova energia alla vita. È un dono di cui ringrazio Dio e che metto al suo servizio, perché anche attraverso l’arte si può percepire e contribuire alla realizzazione del suo progetto di bellezza e amore».

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