La Buona Domenica / Bergamo Città
Domenica 08 Gennaio 2023
Non vedente, ma attraverso la musica la scoperta di orizzonti più grandi
Gianbattista Flaccadori. Di Ranzanico, perse la vista da piccolo: «Non vidi la mano di mia madre, choc per entrambi».
C’è un mondo intero nella musica: «Lo scorrere del tempo, la durata dei ritmi, lo spazio delle altezze dei suoni», come spiega Gianbattista Flaccadori, di Ranzanico, che ad esso ha dedicato la vita. Per esplorarlo occorrono passione, impegno, dedizione, doti che possiede in abbondanza. Così, dopo aver perso la vista in tenera età a causa di una retinite pigmentosa, nelle infinite combinazioni di note, intervalli e pause che compongono il linguaggio musicale ha scoperto orizzonti più ampi, e non si è mai stancato di cercare nuovi canali di espressione.
Ha trovato la sua vocazione nell’arte della composizione, nel canto corale, nell’insegnamento, ma non ha mai trascurato di mettere competenza e impegno a servizio degli altri svolgendo un’intensa attività di volontariato con l’Unione italiana ciechi (Uici). Attualmente è presidente regionale della sezione lombarda. Gianbattista in passato ha collaborato fra l’altro con amici e colleghi alla parte musicale del progetto per la creazione del «Braille music editor», un software con cui si poteva trascrivere uno spartito da pentagramma in Braille usando la tastiera del pc: «Oggi - spiega con un sorriso - gli strumenti si sono moltiplicati, ci sono tecnologie, programmi e applicazioni che permettono di raggiungere traguardi ancora più ambiziosi. Un aiuto fondamentale per noi». Resta comunque molto da fare per realizzare «una vera inclusione», e per questo continua a lavorare in prima linea nell’Uici «per conquistare opportunità migliori per tutti».
La diagnosi difficile
Quando è nato, nel 1953, «era difficile - spiega - diagnosticare una patologia visiva su bambini così piccoli». Gianbattista ricorda ancora con precisione il momento in cui lui e sua madre si sono accorti dei suoi problemi di vista: «Eravamo insieme in cucina, lei stava sbucciando alcune mele. Gliene ho chiesto una fetta, lei l’ha tagliata e me l’ha offerta, mentre io continuavo a sollecitarla, perché non vedevo la sua mano che me la porgeva. È stato scioccante per entrambi». C’è voluto tempo, però, per arrivare alla diagnosi definitiva: «Può darsi che la malattia fosse in corso già alla nascita. I miei genitori avevano notato che camminando mi sostenevo alle pareti oppure al tavolo, ma essendo ancora piccolo pensavano che avessi piuttosto qualche difficoltà motoria. Quando hanno capito che si trattava di problemi visivi è iniziato un calvario di visite e consulti. Continuavano a sperare che ci fosse una cura, finché uno specialista ha chiarito che non c’era nulla da fare, e ha dato ai miei genitori l’indirizzo dell’istituto per i ciechi di Milano». La madre di Gianbattista, nonostante non avesse mai dovuto affrontare un problema simile, usando istinto e buon senso lo ha aiutato subito a imboccare la strada giusta: «Senza aver studiato - ricorda - applicava i migliori principi pedagogici. Mi ha abituato subito all’autonomia, insistendo per mandarmi alla scuola materna con gli altri bambini, nonostante qualche paura iniziale. Mi ha insegnato a spostarmi negli ambienti della fattoria dove abitavamo toccando le pareti per rendermi conto degli spazi. Mi ha fatto conoscere gli animali, mi ha affidato dei compiti come piccoli acquisti nella bottega del paese oppure dai vicini quando le mancavano il rosmarino o l’erba salvia. È stata una pratica utilissima, perché mi ha aiutato a essere indipendente e ad acquisire quelle minime strategie che aiutano a sentirsi a proprio agio negli ambienti e di prendere le dovute misure. Quando sono entrato in collegio a Milano, a sei anni, sapevo allacciarmi le scarpe da solo e avevo già imparato molte cose sulla vita in campagna».
Un nuova avventura
Così è iniziata una nuova avventura per Gianbattista. Proprio in quegli anni, accanto alle materie tradizionali delle scuole elementari e medie è iniziata anche la sua istruzione musicale. «In seguito - dice - ho deciso di proseguire iscrivendomi al Conservatorio». A causa di alcuni problemi di salute è tornato a casa a Ranzanico. «Proprio in quegli anni si iniziava a parlare di inserimento degli studenti non vedenti nella scuola pubblica, e grazie al supporto dell’Unione italiana ciechi sono riuscito a iscrivermi all’istituto musicale Donizetti di Bergamo. Ho iniziato con il pianoforte, ma ben presto mi sono accorto che le esibizioni in pubblico mi creavano una fortissima ansia. Così ho scelto i corsi di composizione, direzione di coro e musica corale».
Come scrive Cicerone, «l’amicizia rende i successi più splendidi e le avversità più lievi» e così Gianbattista negli anni dei suoi studi musicali ha trovato punti di riferimento importanti, che l’hanno aiutato a realizzare i suoi sogni: «Mi sono inserito subito in modo positivo con gli altri compagni. Ho un carattere estroverso e attaccavo bottone con tutti. Al secondo anno mi avevano già nominato rappresentante degli studenti. Mi sono sempre sentito accolto e benvoluto da tutti: il personale dell’istituto, i docenti e gli altri studenti. Ci sono state occasioni in cui ci siamo aiutati a vicenda. Quando è venuta a mancare la persona a cui dettavo i compiti di composizione, i compagni mi hanno dato una mano, e io in cambio li aiutavo a svolgere gli esercizi di armonia, materia ostica per tutti. È stata una bellissima esperienza umana. Sono anni che ricordo con piacere, fanno parte delle cose belle della vita, che ti danno il senso del presente e ti aiutano a proseguire con fiducia verso il futuro». Da Ranzanico a Bergamo Gianbattista ha sempre fatto il pendolare: «Scendevo da casa per una mulattiera piuttosto ripida con qualsiasi condizione meteorologica, fino alla fermata dell’autobus. Allora ero come un gatto, salivo e scendevo come niente. Un anno c’era la neve e mi avevano detto di stare attento, perché all’inizio della strada, nel cortile di una casa, c’era un cane molto aggressivo. Di solito mi tenevo alla larga ma con la neve è facile sbagliare strada. Così mi sono ritrovato vicino al cane, con un po’ di timore. Allora ho appoggiato a terra il bastoncino che usavo per camminare, perché non si sentisse minacciato. Gli ho parlato con dolcezza, chiedendogli di stare buono. Lui non solo non mi ha aggredito ma mi si è messo di fianco, permettendomi di appoggiargli una mano sulla groppa, e mi ha accompagnato fino in paese, poi è tornato a casa sua. Sono rimasto colpito da come gli animali possano capire le necessità dell’uomo e diventino istintivamente amici senza i pregiudizi che scattano invece in noi quando incontriamo una persona sconosciuta. Nonostante questo episodio non ho mai adottato un cane guida, perché pensavo non fosse adatto ad accompagnarmi nella mia professione a scuola».
Gianbattista Flaccadori ha lavorato come insegnante, continuando ad alimentare negli anni la passione per la musica: «Ho iniziato come tutti da supplente, con cattedre miste tra scuola media inferiore e superiore. Per necessità accettavo tutti gli incarichi che mi venivano proposti. Per esempio c’è stato un anno in cui mi è capitato di lavorare per alcune ore a Borgo di Terzo e Lallio alle scuole medie e per altre a Romano alle scuole superiori. Per fortuna c’era un conoscente che partiva alla stessa ora da Ranzanico e come me doveva cambiare autobus a Seriate, perciò mi aiutava negli spostamenti. Al ritorno invece c’era sempre qualche collega che mi riaccompagnava a Bergamo alla fermata dell’autobus. Anche in queste occasioni mi sono reso conto di quanto fossero importanti le relazioni sociali: solo parlando e stringendo amicizie si possono trovare persone disposte a starti vicino. Per questo è importante mantenersi aperti e disponibili e non pretendere sempre che siano gli altri a venirci incontro».
La cattedra di ruolo
Poi è arrivata la cattedra di ruolo, prima alle medie e poi all’Istituto Secco Suardo: «Nel frattempo - aggiunge Gianbattista - ho insegnato storia della musica e armonia all’istituto musicale Folcioni di Crema. Ho collaborato anche con l’Università di Bergamo tenendo corsi per stranieri sulla cultura musicale italiana. Mi è sempre piaciuto il mio lavoro. Mi sono impegnato a offrire ai ragazzi non solo nozioni ma anche un ascolto umano e buoni consigli per la vita, creando con loro rapporti di fiducia».
L’impegno «pubblico» e associativo è proseguito di pari passo: «Ho ricoperto diversi incarichi, ma sempre con spirito di servizio, con il desiderio di aiutare chi ne ha bisogno. Le persone che prima di noi hanno guidato l’Unione ciechi ci hanno permesso di raggiungere traguardi importanti, ora noi proseguiamo sulla stessa strada. Iscrivermi all’associazione è stata un’altra felice intuizione di mia madre, che mi ha insegnato quanto fosse importante fare parte di un gruppo per la mia crescita umana e per affrontare le piccole e grandi sfide della vita quotidiana. Ho avuto una vita piena, mi sono sposato, ho potuto intraprendere la carriera che desideravo e ne sono felice, ma sicuramente ho dovuto affrontare tante difficoltà e combattere molte battaglie». C’è ancora molto da fare per promuovere l’inclusione sociale per le persone non vedenti: «I tre cardini del nostro impegno sono istruzione, formazione e lavoro. Il mondo cambia e con esso la mentalità, l’organizzazione, le esigenze. Alcune professioni che una volta erano uno sbocco naturale per i ciechi, come quella del centralinista, si stano lentamente estinguendo, ma le nuove tecnologie hanno aperto diverse possibilità. Aumenta il numero degli studenti non vedenti che riescono a laurearsi, valorizzando i propri talenti, ma ci sono ancora difficoltà di inserimento scolastico. La musica a scuola è poco considerata, e questo è un ostacolo anche per i non vedenti. Bisogna creare le condizioni perché torni ad essere considerata un’opportunità».
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