Annegò la compagna dopo il volo in auto nell’Adda, chiesti 22 anni. «Ha collaborato e si è pentito»

TRIBUNALE. Il processo per il delitto del 19 aprile 2022 a Fara Gera d’Adda. Il pm: l’imputato fin dall’inizio si è reso conto di quanto aveva fatto. Il presidente: dibattimento caratterizzato da correttezza e pacatezza.

Il 19 aprile 2022 ha ucciso la compagna Romina Vento, che voleva lasciarlo, lanciando l’auto nell’Adda per poi annegarla: la pm Carmen Santoro ha chiesto la condanna a 22 anni di reclusione per Carlo Fumagalli. L’aggravante del rapporto di convivenza è stata considerato in equivalenza con le attenuanti generiche. L’uomo ha infatti collaborato, confessando quanto commesso. E dimostrando «fin dai momenti successivi, di rendersi conto di quanto ha fatto», ha rilevato l’accusa.

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Gli avvocati delle parti civili – Eleonora Radaelli per la mamma, Matteo Anzalone per il fratello, e Cristina Maccario per i figli minori della coppia - hanno evidenziato, davanti alla Corte d’assise presieduta dal giudice Giovanni Petillo (a latere Andrea Guadagnino), il dolore dei loro assistiti, che li accompagnerà per tutta la vita. Dai banchi della difesa, gli avvocati Luca Bosisio e Carmelo Catalfamo hanno parlato di un uomo che «non merita l’ergastolo». Una persona che a un certo punto «si è frantumata», e ha commesso un «omicidio d’impeto». Un gesto «subitaneo: si erano fermati per discutere», e quando l’auto è finita in acqua «era appena ripartito, infatti era inserita la prima». E ricordano le sue parole: «L’omicidio l’ho pensato tre secondi prima». Già il giorno dopo Fumagalli decide di parlare davanti alla pm, sebbene possa avvalersi della facoltà di non rispondere, e lo fa anche davanti al Gip. Ammette di aver spinto Romina sott’acqua, e il movente: non accettava la fine della relazione.

Ancora adesso non si capacita di ciò che ha commesso: «Come ho fatto a fare questo a lei, ai miei figli, ai parenti. Non ho attenuanti», le parole di Fumagalli, ricordate in aula dalla pm. Gli avvocati della difesa parlano, ripercorrono quei mesi «di buio» fino all’omicidio, parlano delle famiglie distrutte per il suo gesto. Di lui che piange, e pensa in continuazione a quanto commesso. Ma si parla anche di riabilitazione, di funzione rieducativa della pena. E della sua unica preoccupazione per il futuro: «”Potrò mai riallacciare i rapporti coni i miei figli, i parenti?“ si chiede, non si perdona il dolore che ha causato a loro, alla mamma e al fratello di Romina».

«Romina, dedita alla famiglia e al lavoro»

Fumagalli è stato seduto in mezzo ai sui avvocati, con le spalle basse, non emette un fiato. Ha pianto silenziosamente mentre in aula venivano fatte le richieste delle parti. Dietro, a pochi metri, la mamma e il fratello di Romina. Sempre composti, anche quando l’avvocato Radaelli riporta all’aula le parole con cui la donna ricorda la figlia uccisa: «Giovanissima, amorevole, dedita alla famiglia e al lavoro. Una sorella affettuosa, una figlia unica». E la mamma pensa a come è morta sua figlia: «Chissà che freddo avrà avuto Romina». Unica gioia, i nipoti: «Vivo grazie a loro, nei loro occhi rivedo Romina». Poi c’è il fratello minore, che ha perso il suo «punto di riferimento – ha spiegato l’avvocato Anzalone – e la sua sofferenza è accresciuta dalla consapevolezza che la sorella ha visto la morte in faccia, si è resa conto che il compagno ha preso una strada diversa per tornare a casa, ha visto l’auto lanciarsi nel fiume». E ha tentato «disperatamente di salvarsi, e nonostante questo lui l’ha raggiunta e tenuta sott’acqua».

In aula ci sono anche la madre di Carlo Fumagalli, e il figlio avuto dalla prima moglie. Anche il loro dolore è palpabile. Finita l’udienza, l’anziana ha un momento per avvicinarsi al figlio. Un abbraccio, prima di prendergli il viso tra le mani e guardarsi negli occhi. L’udienza, durata poco più di un’ora, è stata caratterizzata dalla pacatezza dei toni delle parti. Evidenziata dallo stesso presidente. Eventuali repliche, e sentenza, il 30 maggio.

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