Il dramma di Cavernago: «Aiuto, sto morendo», papà ucciso a coltellate dal figlio

IL DELITTO. Tragedia in famiglia venerdì 4 agosto: arrestato il figlio, un giovane di trent’anni. Ha ammesso. Forse il movente la richiesta di denaro al genitore per la droga.

«Aiuto, chiamate i soccorsi perché sto morendo». Sono le 13,15 di venerdì pomeriggio, 4 agosto, quando questo grido d’aiuto echeggia lungo via Verdi, strada residenziale della periferia di Cavernago. La richiesta arriva da Umberto Gaibotti, 64 anni, una vita da carpentiere. Saranno le sue ultime parole prima di morire, ucciso a coltellate dal figlio Federico, 30 anni, che si è scagliato contro il genitore nel giardino di casa, «Villa Lina» si legge sul cancellino, abitazione trifamiliare da trent’anni di proprietà della famiglia Gaibotti.

È una vicina, dall’altra parte della strada, a raccogliere la richiesta d’aiuto di Umberto e a chiamare il 112. I carabinieri di Calcinate e Bergamo arrivano in pochi minuti e fermano Federico. Per il genitore, invece, il medico del 118 non può più fare niente. Una vita, quella di Federico, costellata da disagi personali e problemi di tossicodipendenza: i familiari avevano a lungo cercato di aiutarlo, di recente anche riuscendo a farlo ospitare in una comunità di recupero del Bresciano, da dove però nei giorni scorsi era uscito.

Per raggiungere prima la casa della mamma Cristina, a Seriate, dove risulta residente anche lui, poi nel primo pomeriggio di ieri l’abitazione del padre (i due genitori erano separati), dove è scoppiata la lite culminata con l’omicidio di Umberto, da tutti descritto come un gran lavoratore che ancora di recente, benché in pensione, si dava da fare come carpentiere. In passato aveva anche cercato di coinvolgere il figlio Federico nel proprio lavoro, ma senza successo. Poi l’aveva aiutato ad aprire uno studio di tatuaggi a Martinengo, ma i problemi di dipendenza non permettevano a Federico di portare avanti un lavoro in maniera continuativa. E così la ricerca e la richiesta di soldi ai genitori era diventata una costante. E pure le liti erano frequenti, come le conseguenti segnalazioni ai carabinieri: i vicini di casa negli ultimi anni avevano più volte visto arrivare al 7 di via Verdi le pattuglie dell’Arma.

Arrestato il figlio

Carabinieri che ieri, con il reparto scientifico del comando provinciale, coordinati sul posto dal sostituto procuratore Laura Cocucci, hanno eseguito tutti i rilievi per ricostruire nei dettagli un omicidio che altro non è che un dramma familiare. I contorni sono parsi fin da subito chiari nella loro drammaticità. Federico Gaibotti è stato tratto in arresto e accompagnato prima in caserma a Calcinate, dove ha ammesso le proprie responsabilità (sarà sentito dal gip nelle prossime ore), e infine in carcere a Bergamo con l’accusa di omicidio volontario.

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La lite tra padre e figlio è scoppiata nell’appartamento a pianterreno di «Villa Lina», dove appunto viveva papà Umberto. Al primo piano abitano sua sorella Maria e il cognato, che erano però al mare, mentre sul lato destro un’altra famiglia. La discussione tra padre e figlio, forse scoppiata di fronte all’ennesima richiesta di denaro per la droga, sarebbe rapidamente degenerata fino a quando il trentenne ha afferrato un coltello dalla cucina (poi sequestrato) e si è scagliato contro il genitore. Quest’ultimo, nel tentativo di sottrarsi alla furia del figlio, si è diretto verso la portafinestra del soggiorno ed è uscito in giardino, dov’è stato però raggiunto e sopraffatto da Federico, che gli ha inferto diversi fendenti un po’ dappertutto – quanti e dove e, soprattutto, quali mortali, lo chiarirà l’autopsia in programma per i prossimi giorni – finché Umberto, dopo essere riuscito ad attirare l’attenzione dei vicini con le sue grida disperate d’aiuto, ha perso i sensi ed è morto dissanguato.

In tutto questo è al vaglio dei carabinieri della compagnia di Bergamo e del nucleo investigativo provinciale anche la figura di una donna: si tratta di una conoscente di Federico Gaibotti, che ieri ha raggiunto la casa di via Verdi, pare chiamata dall’amico trentenne. Tuttavia la donna, giunta con la sua Bmw X1 lasciata in mezzo alla strada di fronte all’abitazione, è stata colta da malore: ha cominciato a sbattere gambe e braccia, come in preda a una crisi epilettica, e poi ha perso i sensi. Soccorsa dal 118, è stata stabilizzata e portata all’ospedale Papa Giovanni XXIII in condizioni critiche, ma non in pericolo di vita. Cosa le è accaduto? In ospedale la donna, che pare fosse anche in stato interessante, è stata sottoposta agli esami del sangue per verificare se avesse assunto sostanze stupefacenti. Ma quale è il suo ruolo in tutta la vicenda? È stata chiamata da Federico Gaibotti perché aveva un debito con lei e l’avrebbe voluto saldare, magari chiedendo il denaro ancora una volta al padre e nel frattempo, proprio per questo, è scoppiata la lite culminata con il delitto? Per il momento sono ipotesi, sulle quali i carabinieri e la procura stanno cercando di far luce.

Alle 16,45 di ieri, terminati i rilievi, il corpo di papà Gaibotti è stato portato via dalle onoranze funebri e trasferito all’obitorio del «Papa Giovanni». In via Verdi anche l’ex moglie di Umberto, che non ha però voluto rilasciare dichiarazioni, e il primo figlio di lei, Michele, di 10 anni più grande di Federico. «Umberto era così una brava persona, com’è possibile una fine del genere?», il commento, lacrime agli occhi, di una vicina di casa di fronte a un dramma familiare che ha scosso la tranquillità di questa zona residenziale di Cavernago.

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