Simmy, 50 anni e un grande cuore
Ai dipendenti in dono il 49% delle quote
La decisione del patron Giorgio Bona in occasione dell’anniversario dell’azienda specializzata nel confezionamento di abiti di grandi marchi. «Non ho figli, voglio passare il testimone a una nuova generazione».
Non hanno dovuto attendere che la dea bendata li favorisse nell’estrazione di stasera. Per sei dipendenti della Simmy di Romano di Lombardia, azienda specializzata nel confezionamento di abiti delle grandi marche, la fortuna ha bussato alla porta già alla fine dello scorso anno.
Il patron, Giorgio Bona, ha infatti deciso di premiare sei collaboratori regalando il 49% delle quote della sua società. Si tratta – in base alla percentuale di quote ricevute - di Federico Vecchiarelli (l’attuale direttore generale), Fulvio Rizzoli (il primo impiegato amministrativo) e poi Roberta Lavelli, Pinuccia Spolti, Maria Lavelli e Daniela Merisio, ciascuno rappresentativo di uno specifico settore della società.
Il riconoscimento è arrivato nel corso dei festeggiamenti (anticipati al 13 dicembre) per il 50° compleanno di Simmy, fondata dal padre di Giorgio Bona - Plinio - il 9 gennaio 1970 (Simmy era il nome del suo cocker).
Regalo e responsabilità
«È stato un po’ come ritornare indietro nel tempo – ricorda il titolare – anche mio papà mi ha regalato il 49% della società. La mia famiglia viveva a Biella dove era proprietaria di un maglificio e all’epoca la mia vita, gli affetti e gli amici erano tutti lì. Non ci pensavo proprio a trasferirmi in una zona come Romano di Lombardia, scelta da mio papà perché era considerata zona depressa e soprattutto perché volendo avviare una ditta di confezioni c’era del personale in grado di lavorarvi. Così in un colpo solo mi sono trovato catapultato nella bassa bergamasca, in mezzo alla nebbia che non avevo mai visto e tra gente che parlava un dialetto che non capivo. Ma quel regalo mi ha responsabilizzato».
Un dono importante che adesso ha trasferito a sei dipendenti, un gruppo di persone che rappresenta simbolicamente «tutti i collaboratori che negli anni hanno lavorato qui e ci hanno aiutato a crescere – spiega Giorgio Bona - . Io non ho figli e attraverso questo gesto, che è stato studiato a lungo e che è il primo passo per il passaggio di testimone alla nuova generazione, conto di garantire la continuità a questa bella e solida realtà».
Da Romano a New York
L’azienda nata negli anni ’70 si è specializzata da subito nel «capo spalla»: giacche, impermeabili e cappotti. «Avevamo già richieste dai primi grandi marchi – commenta il titolare di Simmy – perché erano in pochissimi a realizzarli, sono i capi più impegnativi. Erano i tempi in cui nasceva la nostra collaborazione con Barneys, la famosa catena di grandi magazzini di New York».
Nel 1998 l’attività dell’azienda fa un salto di qualità, dal semplice laboratorio di confezioni la società comincia a strutturarsi: viene creato un ufficio modelli per confrontarsi direttamente con gli stilisti dei brand e poi l’ufficio acquisti per acquistare direttamente i materiali, l’ufficio amministrativo, il magazzino.
Oggi Simmy conta 55 dipendenti e fornisce ai clienti - che spaziano da Ralph Lauren a Balenciaga, da Fendi a Loro Piana fino a Vivienne Westwood e al recentissimo The Attico - una vera e propria filiera. «Si parte dallo studio del modello, al capo prova, fino alla produzione finale. E siamo in grado di mettere a punto – aggiunge il direttore Federico Vecchiarelli – i capi campione, quelli per le linee dei brand, quelli per le sfilate e quelli personalizzati con cui gli stilisti vestono le celebrità. Ma puntiamo costantemente anche alla collaborazione con marchi innovativi. Le idee nuove ci consentono di dare un nuovo respiro all’azienda e sono fondamentali per capire come si sta orientando il mercato». Che per Simmy è internazionale al 90%.
Affari e mestiere
Il 2019 – per l’azienda di Romano di Lombardia che produce oltre 45.000 capi all’anno a partire da piccole commesse di 40/50 capi - si è chiuso con un volume d’affari intorno agli 8 milioni e mezzo di euro, in aumento del 12% sull’anno precedente e per il 2020 le previsioni continuano ad essere rosee. Oltre ai propri dipendenti la società dà lavoro a 20 laboratori sparsi in Italia per un indotto di circa 500 persone. Un unico neo: difficilissimo trovare cucitrici specializzate o campionaliste in grado di realizzare un capo dall’inizio alla fine.
«Non esiste più una scuola. Si è perso l’interesse per il cucito – conclude Giorgio Bona – Eppure questo è un mestiere che offre grandi soddisfazioni. Le nostre dipendenti viaggiano per il mondo e si confrontano con gli stilisti. Sia a livello di carriera che economico c’è una significativa possibilità di crescita».
© RIPRODUZIONE RISERVATA