Tragedia in Svizzera: scivola in un canalone, muore guida alpina bergamasca

Il dramma. Mauro Soregaroli, 64 anni, stava accompagnando un cliente su una vetta di oltre tremila metri. Entrambi sono scivolati, ma per il bergamasco non c’è stato nulla da fare. Il figlio: «È morto facendo ciò che amava».

«La montagna era tutto per papà, tanto che avevo addirittura messo in conto che sarebbe potuto morire lassù. E anche lui lo aveva pensato: ne avevamo anche parlato di recente. Certo, non mi aspettavo che questo momento sarebbe arrivato così presto». Jacopo Soregaroli ne è convinto: papà Mauro, espertissima guida alpina bergamasca, amava talmente la montagna che difficilmente avrebbe potuto immaginare per se stesso una morte lontana dalle vette delle Alpi.

Ieri pomeriggio, però, tutto questo si è concretizzato nel modo più drammatico possibile. Soregaroli – 64 anni, nativo di Valtesse, per decenni abitante a Colognola e attualmente a Carobbio degli Angeli – è infatti precipitato in un canalone di centinaia di metri mentre scalava una vetta di oltre tremila metri al confine tra il Cantone Vallese svizzero, dove lavorava come guida, e la Valle d’Aosta: ogni soccorso si è rivelato vano. Il dramma alle 13. Soregaroli stava accompagnando un suo storico cliente, un avvocato statunitense residente a Berna con il quale c’era ormai un rapporto amicale.

I due erano partiti nelle prime ore della mattinata dal versante svizzero per raggiungere la vetta del Grand Golliat, a 3.238 metri. Proprio sotto la cima, l’incidente: cosa sia accaduto di preciso lo chiarirà l’inchiesta aperta dalla polizia cantonale svizzera. Certo è che sia Soregaroli sia l’americano che era con lui sono finiti nel canalone all’improvviso: il cliente avrebbe cercato di trattenere l’amico e guida alpina, senza tuttavia riuscirci. A quel punto, il dramma e la caduta fatale. Poco dopo in zona sono arrivati altri due alpinisti, che hanno soccorso l’americano ma che, per riuscire a chiedere aiuto, sono dovuti scendere verso valle fino a quando è tornato campo per il cellulare.

L’intervento da terra dei soccorritori non è purtroppo servito a nulla se non a recuperare il corpo senza vita di Soregaroli e accompagnarlo al più vicino obitorio. L’altro alpinista che era con lui è stato invece visitato e poi dimesso. La salma dell’alpinista bergamasco è stata posta sotto sequestro dall’autorità giudiziaria svizzera per gli accertamenti di rito. Soregaroli – che si era sposato due anni fa con Miriam Tebaldi, con cui viveva a Carobbio (lascia anche le sorelle Annarosa e Marilisa e il fratello Piergiuseppe) – era una guida più che esperta, tanto da aver raggiunto la vetta del Grand Golliat altre due volte.

Da grande professionista qual era, proprio giovedì aveva confidato al figlio Jacopo, cui ha trasmesso la passione per la montagna, che quella di ieri sarebbe stata una scalata piuttosto dura: «Mercoledì e giovedì eravamo stati assieme e avevamo fatto helisky sulla Rosablanche, tra l’altro mettendo come sottofondo, manco a farlo apposta, “Dream on” degli Aerosmith. Giovedì mi aveva confidato: domani mi riposo, perché sabato ho il Grand Golliat e sarà dura. Strano, ho pensato, perché non si riposava praticamente mai. Era veramente molto attivo: di recente aveva accettato un lavoro come guida nel nord della Norvegia in un posto in cui si scia sul mare. E per giugno aveva già pianificato di andare sull’Etna e per fine anno avevamo pensato di andare assieme in Namibia. Per me era un punto di riferimento: quell’eroe che non raggiungi mai e che era sempre qualche passo avanti. L’unica consolazione è che sia morto facendo quello che amava, anche se avrei sperato che questo momento arrivasse dopo. Ma, nel chiedere più tempo, non avrei comunque mai nel chiesto per lui di vivere in maniera diversa: la vita se l’è vissuta davvero appieno, fino alla fine».

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