Campane «mute» nel Triduo pasquale: da secoli a Mezzoldo i ragazzi suonano i Ringhècc

LA TRADIZIONE. Per scandire le celebrazioni i ragazzi usano antichi strumenti in legno. «Un tempo c’era pure rivalità, si passava nelle case e si riceveva in dono un po’ di uova».

«Tanti anni fa, quando ero bambino io, c’era persino una grandissima rivalità quando si suonavano i “Ringhecc” per il Triduo pasquale: ogni frazione aveva i suoi ragazzi suonatori, persino il capoluogo, Mezzoldo, era diviso in due. Guai se un ragazzo andava a suonare da un’altra parte».

Domenico Rossi, oggi 73 anni, se li ricorda ancora bene gli anni in cui Mezzoldo era abitato da decine di bambini. E quando la tradizione dei «Ringhècc», oltre che un «servizio» per il periodo pasquale, era anche una sfida tra i ragazzi.

Che cosa sono i Ringhècc

I «Ringhècc» sono degli antichissimi strumenti in legno che emettono un rumore stridulo grazie allo sfregamento di palette flessibili contro una o più ruote dentate. Suono che, appunto, scandisce nel Triduo pasquale i momenti della giornata, quando le campane delle chiese sono «legate» e in silenzio in ricordo della Passione. Da giovedì a sabato, alla mattina, nell’Ora media e ai Vespri, il loro suono «sostituisce» quello delle campane. Così nei secoli passati ma anche oggi, anche se ora la tradizione ha assunto anche aspetti folcloristici.

I diversi tipi di Ringhècc

«Ricordo che si passava di casa in casa – continua Rossi, già sindaco del piccolo paese che si incontra prima del Passo San Marco – proprio per annunciare le funzioni religiose. E dagli abitanti si ricevevano in cambio uova, farina di mais, un po’ di cibo». I «Ringhècc» avevano e hanno forme diverse, dai più piccoli, chiamati anche «Gagia», a quelli grandi come un comodino, denominati appunto «Comodina», i più rumorosi. Il tradizionale «Ringhèt» viene azionato in piedi appoggiandolo fra la pancia e il muro, oppure in ginocchio, con appoggio a terra, mentre la «Gagia» è suonata tenendo ferma la manovella e muovendo lo strumento con il braccio alzato e la «Comodina», lunga dai 50 centimetri al metro, è sempre suonata a terra.

«Chissà quando iniziò questa tradizione – prosegue Rossi –. A me venne tramandata dai nonni, per cui è sicuramente secolare e qui a Mezzoldo non si è mai interrotta. Ognuno costruiva il suo “Ringhèt” a casa sua. Io ho ancora quello che usavo da bambino, 60 anni fa. In paese, di sicuro, ce ne sono anche di più vecchi. Perfettamente funzionanti come una volta. Gli ultimi furono costruiti da Claudio Balicco, una quindicina di anni fa, per l’Unione sportiva e per i turisti» Il Museo della Valle di Zogno e l’Ecomuseo di Valtorta ne conservano alcuni particolarmente antichi.

La tradizione continua a Mezzoldo

Oggi a Mezzoldo i bambini fino alle medie sono meno di dieci. Ma nei tre giorni del Triduo pasquale, a loro, per rinnovare la tradizione, si uniscono orgogliosamente anche i figli di tanti oriundi del paese, che tornano per le feste. E allora per le vie, tutti insieme, non più divisi come una volta, partono con i loro «Ringhecc» e, casa per casa, ripropongono quel baccano che si tramanda da secoli. Annunciando i momenti salienti della Pasqua, a partire dalla sera del Giovedì Santo.

La sera del Sabato Santo, poi, durante la Veglia pasquale, i suonatori si ritrovano in chiesa: il sacerdote durante la funzione fa loro un cenno, poco prima del suono delle campane, e danno vita al concerto dei «Ringhècc» sul sagrato. L’ultimo appuntamento, da alcuni anni, ma con funzione più folcloristica, è quello della domenica di Pasqua, a mezzogiorno, nella piazza del paese, con il «concerto» finale. Un modo singolare per augurarsi buona Pasqua. Così sarà anche quest’anno.

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