Il giudice: «Monguzzi morì a causa della violenta sterzata dell’auto»

LA SENTENZA. Montello, le motivazioni della Corte d’Assise per la condanna a 14 anni per omicidio. «L’imputato accettò il decesso del motociclista come prezzo da pagare per liberarsene».

La valutazione dei fatti «consente di ritenere senza ombra di dubbio che l’imputato si rappresentò come evenienza possibile la morte della persona offesa e la accettò come prezzo da pagare per liberarsene». Morte causata «in via diretta dalla violenta sterzata che provocò prima lo speronamento, poi la caduta e il rotolamento al suolo del Monguzzi nell’opposta corsia».

L’imputato citato nelle motivazioni della Corte d’assise di Bergamo è Vittorio Belotti che, la mattina del 30 ottobre 2022, a seguito di un litigio al semaforo di via Papa Giovanni XXIII a Montello con il motociclista Walter Monguzzi, lo speronò con la sua Fiat Panda nera facendolo cadere. Sulla corsia opposta stava sopraggiungendo un’auto che, nonostante il tentativo di evitarlo, lo investì. Monguzzi perse la vita, mentre Belotti finì prima in carcere e poi ai domiciliari. Il 18 dicembre 2023 la Corte d’assise presieduta dal giudice Giovanni Petillo ha condannato Belotti a 14 anni, con le attenuanti generiche prevalenti rispetto all’aggravante dei futili motivi. Nelle motivazioni della sentenza, che ripercorre quanto accaduto in pochi minuti lungo la strada in direzione Gorlago, si evidenzia come la violenta sterzata di Belotti verso sinistra, dove viaggiava Monguzzi, «è stata l’origine della catena causale che ha determinato il decesso» del motociclista. Una manovra messa in atto – secondo le testimonianze – da Belotti altre due volte prima che la vittima cadesse nella corsia opposta dove fu investito. Quindi, secondo la Corte, «in assenza della sterzata, Monguzzi non sarebbe caduto a terra e in definitiva non sarebbe morto». Il fatto che la vittima sia stata poi investita da un altro mezzo non viene ritenuta una «causa sopravvenuta idonea» a escludere «il rapporto di causalità tra la condotta di guida dell’imputato e la morte» del motociclista. Inoltre, il fatto che su una strada a due corsie di marcia, dove c’è una doppia linea continua, possa arrivare un’altra auto «eventualmente anche con andatura superiore ai limiti di velocità», era prevedibile per un utente della strada.

La Corte non condivide le considerazioni del consulente della difesa nella parte in cui, parlando dell’eccesso di velocità dell’automobilista che sopraggiunse, «ha inteso attribuire a lui l’evento morte sul presupposto che se avesse rispettato il limite di velocità non si sarebbe trovato sul posto» e Monguzzi, che non sarebbe quindi stato investito dopo la caduta, «non sarebbe morto». Un ragionamento basato più su «dati ipotetici». Stesso discorso per la risposta, alla specifica domanda «Se non fosse stato urtato dall’auto non sarebbe morto?», che diede in aula il consulente medico legale del pm: «No, molto, molto verosimilmente no». Secondo la Corte, «anche in tal caso la risposta appare fondata soltanto su base ipotetico-astratta, non tenendo conto del possibile percorso che avrebbe seguito il corpo del Monguzzi» se non fosse stato investito dall’auto «né delle possibili lesioni o emorragie di organi vitali» durante il rotolamento. Quindi la velocità dell’auto sopraggiunta è irrilevante, «non influendo tale dato sull’accertamento, comunque univoco, che la morte di Monguzzi fu cagionata dall’azione di speronamento posta in essere da Belotti». E non ci fu legittima difesa (invocata in via principale dai legali dell’imputato in sede di discussione, evidenziando che Belotti si era sentito in una situazione di pericolo perché c’erano anche altri motociclisti), né eccesso di legittima difesa.

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