Ex vigilessa uccisa, i distinguo delle difese dei tre imputati

IL PROCESSO. Martedì 28 novembre in aula gli avvocati delle due figlie e del fidanzato: chieste delle attenuanti per evitare gli ergastoli. «Emerse posizioni diverse e smantellato il trio criminale». Slittate al 7 dicembre la replica dell’accusa e la sentenza.

Sul fatto che si arriverà a una condanna, nessuno ha dubbi. I tre imputati hanno confessato tutto. Di aver ucciso, di averlo premeditato per settimane, di aver nascosto il cadavere e, infine, tentato di depistare le indagini. Qualche lieve differenza sulla quota di responsabilità di ciascuno e sulla sussistenza delle aggravanti hanno provato a proporla le difese.

Nell’udienza di martedì 28 novembre del processo per l’omicidio di Laura Ziliani, ex vigilessa di 55 anni di Temù, in Valcamonica, in cui sono imputati il bergamasco di Roncola San Bernardo Mirto Milani, la sua ex fidanzata Silvia Zani e la sorella di quest’ultima, Paola, figlie della vittima, si è assistito al definitivo crollo del «trio criminale», al riavvicinamento delle sorelle Zani, che hanno provato a scaricare la colpa della pianificazione su Mirto, e del ventinovenne bergamasco che ha invece provato a dire di essere stato trascinato dalle ragazze nel disegno omicida.

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L’udienza, che si è aperta davanti alla Corte d’Assise di Brescia prima delle 10 di martedì mattina, avrebbe anche potuto essere l’ultima. A fine settembre la Procura aveva infatti avanzato le proprie richieste e non restavano che da sentire le parti civili e le difese. Le discussioni si sono però protratte fin oltre le 18 e il presidente Roberto Spanò ha aggiornato il processo al 7 dicembre per le repliche e la sentenza. Sulla ricostruzione dei fatti non ci sono dubbi. I tre imputati la notte dell’8 maggio del 2021 hanno ucciso la madre delle ragazze, prima stordendola con dei dolci avvelenati, preparati facendole credere di festeggiare insieme la festa della mamma, e poi soffocandola mentre era a letto. Un copione scritto studiando per mesi serie tv crime. Il corpo della donna è stato poi nascosto sulla riva dell’Oglio e trovato, tre mesi dopo, per caso, da una famiglia in gita. Sul peso di quanto compiuto da ciascuno, ieri si è discusso a lungo.

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Gli avvocati di parte civile hanno sposato la linea del pubblico ministero. «Ci chiediamo se questo sia un terzetto criminale o se si debbano fare distinzioni. Io credo che questi signori abbiano condiviso l’intero programma, perché la premeditazione in questa vicenda è, secondo me, così lampante da meritare solo poche parole», ha detto l’avvocato Piergiorgio Vittorini, che nel processo rappresenta la figlia mezzana di Laura Ziliani, affetta da disabilità: «La premeditazione è cosi lucida – ha aggiunto – che il trio ha cercato di individuare modalità per uccidere la madre in maniera che fosse indolore». «L’intero dibattimento ci ha mostrato che il soggetto meno convinto del piano omicidiario e che ha sempre tentato di tirarsi indietro è Mirto Milani. Il quale, invece, all’inizio era indicato come il manipolatore del gruppo – ha esordito l’avvocato Simona Prestipino, difensore di Milani –. Se avesse prevalso la sua volontà, questo omicidio non sarebbe avvenuto. Ha seguito il gruppo come un cagnolino fedele». Per il suo avvocato, «le sorelle non lo possono più vedere e lo attaccano perché, per colpa di Mirto, sono state scoperte, perché lui ha rotto il patto del silenzio».

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Michele Cesari, difensore di Paola, la più giovane delle due sorelle Zani, colei che quella notte tenne ferma la madre mentre prima la sorella e poi Mirto le stringevano le mani al collo, ha ribaltato la situazione: «Il gruppo ha imposto a Paola di entrare, perché lei viveva per Silvia e Mirto. L’idea di uccidere sicuramente non è partita da Paola, ma da Mirto». E poi ha concluso: «Paola aveva 19 anni al momento del fatto, oggi ne ha 21. Vi chiedo di dare un senso a una pena verso una ragazza che rischia di fare tutta la vita in carcere. Chiedo l’esclusione dell’aggravante della premeditazione e il riconoscimento della capacità di intendere e volere fortemente scemata in quel frangente».

A chiudere l’udienza è stata l’avvocato Maria Pia Longaretti, che difende Silvia Zani: prima ha chiesto di valutare l’azione della premeditazione – «Le benzodiazepine che ha somministrato alla madre erano per stordire e non per uccidere» –, poi «ha messo la mano al collo della madre per rompere gli indugi» e, infine, ha chiesto di non riconoscere l’aggravante del vincolo familiare perché «Silvia, con Mirto e Paola, aveva un nucleo familiare a parte, sganciato da quello di origine. E, anzi, ha agito per difendere questo nucleo familiare che vedeva minacciato».

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