Inchiesta Covid: «Alzano, si è fatto del nostro ospedale un capro espiatorio»

La testimonianza. L’ex coordinatrice delle professioni socio sanitarie: «Il quadro che viene dipinto dell’ospedale di Alzano all’esito di questa indagine – è il suo sfogo – è vergognoso, ingiusto nei confronti di chi ci ha lavorato in prima linea, a combattere il virus: applicammo i protocolli come tutti gli altri ospedali».

«Il quadro che viene dipinto dell’ospedale di Alzano all’esito di questa inchiesta è vergognoso, ingiusto nei confronti di chi ci ha lavorato in prima linea a combattere con il virus: noi applicammo i protocolli e le indicazioni che ci erano stati forniti dalla Regione, facendo tutto il possibile per combattere un nemico subdolo e giunto all’improvviso. Invece ci ritroviamo con l’immagine, restituita all’opinione pubblica, di un ospedale in cui ci

sono state carenze e da cui tutto è partito. Non è così: se per assurdo si verificasse su cosa sia accaduto in qualsiasi altro ospedale, verrebbe fuori che il personale ha fatto le stesse cose e seguito le stesse procedure che abbiamo seguito noi». È un fiume in piena Adriana Alborghetti, ora in pensione (ed estranea all’inchiesta), ma che all’epoca dello scoppio della pandemia era dirigente delle Professioni socio sanitarie e sociali dell’Asst Bergamo Est, da cui dipende anche il presidio di Alzano.

«La Regione ci ha sempre raccomandato prudenza nelle dichiarazioni, nel corso dell’inchiesta, ma dal momento che sono in pensione mi sento più libera di esprimere le mie considerazioni e raccontare come sono andate veramente le cose. Carenze? Ce n’è stata una, sì: quella dei tamponi. In quei giorni ne avevamo solo un centinaio per tutta l’Asst. Ma era così dappertutto. Di tamponi non ce n’erano. Non riesco a comprendere perché solo l’ospedale di Alzano sia finito nell’occhio del ciclone, quando eravamo tutti nelle stesse condizioni. Non lo ritengo giusto nei confronti del personale, dei “miei” infermieri che erano lì a lottare in prima linea contro il virus. Il personale ha sempre percepito come ingiusto il trattamento riservato all’ospedale di Alzano».

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Sulla chiusura e riapertura del Pronto soccorso – capitolo in realtà ridimensionato dalla perizia di Andrea Crisanti, secondo il quale tenerlo chiuso non avrebbe frenato il contagio in Valle Seriana, ormai fuori controllo – Alborghetti è netta: «Come potevamo tenere chiuso? Avrebbero dovuto chiudere tutti gli altri presidi. E i pazienti bisognosi di cure dove sarebbero potuti andare, in farmacia? Dal medico di base? Non scherziamo». Negli atti dell’inchiesta viene contestata la sanificazione incompleta proprio dei locali del Pronto soccorso: «La sanificazione venne fatta – afferma Alborghetti – così come vennero istituiti percorsi distinti tra chi arrivava con sintomi respiratori e gli altri pazienti. I pazienti furono separati. Certo, con il passare delle ore questa suddivisione venne perfezionata, ma venne fatto da subito il possibile. Tuttavia nessuno si aspettava, con solo un caso a Codogno, di ritrovarci il 23 febbraio con il primo paziente positivo ad Alzano Lombardo».

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Sulle mascherine e in genere i dispositivi di protezione individuale: «Quelli c’erano, ma come tutti gli altri pagammo in una prima fase il balletto delle indicazioni che arrivavano dall’alto, diverse ogni giorno, tra mascherine Ffp2, Ffp3... Se ci sono stati errori in quella prima fase della pandemia, non fu certo solo Alzano a commetterli».

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