Quelle scarpine da bimbo aprono la strada alla vita

LA STORIA DI NATALE. Jonida si è salvata dopo un viaggio tempestoso in gommone dall’Albania. Ora ha tre figli e racconta la sua storia.

«Ho sempre desiderato avere una famiglia numerosa, ora il mio sogno si è realizzato». Al centro del salone c’è un camino acceso, sopra la mensola c’è la foto di una donna, suo marito e tre bambini, la più piccola in braccio alla mamma. La stanza è accogliente, addobbata per Natale con luci, ghirlande, i disegni dei piccoli, un grande albero. C’è anche una capanna di legno con le statuine dipinte a mano: «Il presepe lo prepariamo insieme».

Chiameremo la protagonista di questa storia Jonida, che in albanese significa «Portata dal mare», perché è arrivata in Italia vent’anni fa proprio così, imbarcata su un gommone. Ha compiuto un viaggio tempestoso, pensando a volte di non farcela: «Sono partita per disperazione, e la traversata è stata difficile. Sono riuscita ad arrivare per un colpo di fortuna, e alla fine ho trovato un posto dove ricominciare in Italia». Non è facile per lei ricordare quei momenti: «Ne parlo, perché mi piacerebbe dare speranza a chi attraversa un momento difficile, per testimoniare che si può venirne fuori. Non bisogna arrendersi: ai miei figli insegno questo, sono loro e mio marito la mia più grande rivincita».

Fra le decorazioni dell’albero di Natale spicca un paio di scarpine da neonato, bianche, lavorate all’uncinetto. Sono un simbolo della metamorfosi e della rinascita di Jonida: la ragazza sola, spaventata, diffidente, è diventata una donna serena e mamma premurosa, capace di affrontare il mondo a viso aperto, di creare relazioni solide e positive. Nel cuore custodisce il desiderio di aiutare altre come lei: «Vorrei svolgere attività di volontariato in un centro antiviolenza, perché so cosa si prova».

Dal buio alla ripartenza

Il suo percorso, segnato dalle tempeste, le ha permesso di medicare le sue ferite e di accogliere le vite che ha portato in grembo. Una scelta impossibile senza l’aiuto delle volontarie del Centro di aiuto alla vita di Alzano Lombardo: «Quelle scarpine me le hanno regalate loro, e sono state la chiave che ha aperto il mio cuore indurito dall’orgoglio e dal dolore. Sono state madri, sorelle, amiche».
Ha conquistato l’autonomia lavorando come badante: «Era l’unica mansione che potesse garantirmi un alloggio, e per svolgerla bene ho dovuto imparare il bergamasco, altrimenti non avrei potuto comunicare con le nonne che accudivo».

La famiglia

Quando una delle sue sorelle si è ammalata, Jonida ha sentito il desiderio di aiutarla: «Avrei voluto che si trasferisse in Italia per garantirle cure migliori, così ho cercato un appartamento abbastanza grande per entrambe, con un affitto che potevo permettermi. Purtroppo era fuori mano, in mezzo al bosco, andare e tornare al buio era spaventoso. Lo sopportavo tenendo una luce nel cuore, sperando che fosse una tappa verso un futuro migliore, una famiglia mia, la fine della solitudine».

Il trasferimento in Italia della sorella è sfumato e Jonida è andata avanti: «Ho incontrato un vicino di casa, di origini nordafricane. Non aveva i documenti e si spostava spesso svolgendo lavori precari. Avevamo orari simili, mi faceva compagnia per attraversare il buio. Eravamo come zattere alla deriva, ci siamo sostenuti a vicenda. Quando ho scoperto di essere incinta, lui se n’era appena andato a lavorare all’estero. Poco dopo sono rimasta senza lavoro».

Jonida, smarrita, si è confidata con una conoscente: «Mi ha accompagnato dal medico e dagli assistenti sociali, perché mi aiutassero a trovare una sistemazione più adatta. Ero piena di dubbi e di paure. Nelle condizioni in cui mi trovavo non sapevo se avrei potuto tenere il bambino. Senza aiuto sarei stata costretta ad abortire. Così mi hanno indirizzato al Cav di Alzano Lombardo». Il primo incontro è stato difficile: «Volevo un lavoro e una casa, pensavo che mi potessero aiutare in questo, ma il compito delle volontarie del Cav è diverso. Mi hanno mostrato vestiti, pannolini e passeggini, abbiamo parlato. Mi sentivo a disagio per essermi ridotta a quel punto, non sopportavo di dover chiedere la carità. Poi una volontaria mi si è avvicinata e ha fatto scivolare nelle mie mani quelle scarpine».

Gli affetti

A quel punto il ghiaccio intorno al suo cuore si è sciolto: «Mi sono ricordata perché ero lì, tenendo nel cuore il valore degli affetti più cari. Ci sono state lacrime e sorrisi, ma il primo passo era fatto e a quel punto ho deciso che avrei portato a termine la gravidanza».
Le volontarie del Cav di Alzano sono state prudenti e affettuose: «Quando l’ho vista per la prima volta – racconta Mary – mi ha colpito la solitudine che traspariva dal suo viso, così profonda e disperata. Dopo averla incontrata, per tre notti non ho dormito».

È stato l’inizio di una grande amicizia: «Le volontarie – spiega Jonida – si sono emozionate con me quando ho sentito per la prima volta il battito del bambino. Non mi hanno mai lasciata sola, neanche al momento del parto». È stato attivato per Jonida un «Progetto Gemma», adozione prenatale a distanza che permette di offrire aiuto economico alla mamma in difficoltà, per diciotto mesi. Un sostegno concreto in un momento in cui ne aveva estremo bisogno. Il Comune le ha offerto una casa per un anno, il Cav le ha donato ciò di cui il bambino aveva bisogno, ma le ha assicurato soprattutto vicinanza e amicizia: le volontarie hanno fatto anche da zie e nonne al piccolo, permettendole di ricominciare a lavorare.

«Quando mio figlio ha iniziato ad andare all’asilo ho incontrato un vicino di casa – sorride Jonida – e siamo diventati amici. Non volevo più saperne degli uomini perciò all’inizio non ero disponibile a instaurare un altro tipo di legame. Poi lui mi ha conquistato con la cura e la tenerezza che riservava a me e al mio bambino. Ho riaperto il cassetto in cui avevo chiuso il mio grande sogno di formare una vera famiglia, di dare al mio bambino un ambiente sereno e sicuro per crescere. Dopo un po’ ci siamo sposati, e negli anni seguenti abbiamo avuto altri due figli. Non è stato facile superare la paura e decidere di fidarmi della vita ma adesso sono felice. Ho trovato un buon lavoro, sono fiera dei miei bambini. La più piccola ha nove mesi e questo sarà il suo primo Natale. Lo vivremo con tanta meraviglia e speranza per il futuro».

© RIPRODUZIONE RISERVATA