Tsunami, aiuti da Bergamo: a nuovo 711 case

IL MAREMOTO. In Sri Lanka la Caritas diocesana bergamasca ha investito 290 mila euro. Per le donne un ruolo centrale nella ricostruzione. Don Claudio Visconti di Bergamo: «Non solo case ma anche progetti educativi».

Ricostruzione delle case ma anche progetti di educazione per i giovani e di sviluppo per le donne e i pescatori. Punta in due direzioni l’attività della Caritas italiana a Colombo, capitale dello Sri Lanka, messa in campo dopo il maremoto che ha colpito l’isola del Sudest asiatico il 26 dicembre 2004. Un piano d’azione portato avanti in sinergia con la Caritas Colombo nel «Sethsarana livelihood programme», con la Caritas Germania e realizzata grazie ai fondi raccolti dalla Caritas Lombardia.

«Per le attività a Colombo la Caritas italiana ha investito almeno 11 milioni di euro, di cui due milioni sono stati raccolti grazie alla generosità delle diocesi lombarde – spiega don Claudio Visconti, referente regionale del settore Educazione alla mondialità della Caritas Lombardia e vicedirettore della Caritas diocesana bergamasca –. Bergamo ha investito qui almeno 290.000 euro. Se il programma delle ricostruzione case sta volgendo al termine, sono appena iniziati i progetti di sviluppo che impegneranno operatori locali e non per almeno tre anni. La Caritas è tra le organizzazioni internazionali presenti che ha deciso di sostenere, al di là dell’emergenza, i programmi di sviluppo locali».

«Per quanto riguarda la fase della ricostruzione delle case, sono state per il momento ricostruite 362 case e riparate 349. In tutto le case distrutte o danneggiate nell’area di Colombo sono state più di duemila – spiega Daniele Lodola, operatore della Caritas italiana a Colombo –. Anche se la zona non risulta essere una di quelle maggiormente colpite dallo tsunami, l’alta concentrazione della popolazione nella capitale di due milioni di abitanti, ha creato condizioni di emergenza e disagio. Le case ricostruite sono strutture su due piani con una zona giorno e cucina al piano terra e una zona notte al piano superiore, oltre a un balcone all’ingresso. La Caritas Colombo si è impegnata nella zona di Kalutara, una delle più povere della capitale».

La Caritas italiana, con la Caritas Colombo, ha invece attuato un piano sperimentale per quanto riguarda la manodopera. Ha infatti creato dei laboratori di carpenteria e di falegnameria nei pressi delle zone di cantiere e vi ha impiegato manodopera locale e i proprietari stessi delle case. Subito dopo lo tsunami infatti molti uomini, per lo più pescatori, si sono trovati senza barche e lavoro. Allo stesso tempo servivano braccia pronte a dare una mano per la ricostruzione delle case. Gli uomini sono stati allora avviati in laboratori in cui hanno appreso una professione e in cui si sono sentiti protagonisti della ricostruzione.

«Caritas Colombo – spiega Daniele Lodola – solitamente consegna la casa terminata all’80% in quanto sarà poi compito dei beneficiari completarla venendo così coinvolti nella ricostruzione. Manca per esempio l’intonacatura. Intanto stiamo procedendo anche all’acquisizione di nuovi terreni nell’area di Negombo e nella zona di Morata. In queste aree si è pianificata la costruzione di strutture abitative rispettivamente per 50 e 96 famiglie». Un altro importante passo compiuto nell’ambito della ricostruzione è legato ai servizi di «water and sanitation» anche in partnership con altre organizzazioni non governative su tutta l’area d’intervento. Nella maggior parte dei casi infatti non esistevano i sistemi di fognatura e apporto idrico in casa per cui si è pensato di dotare tutte le strutture di apposite tubature. La Caritas italiana a Colombo, con la diocesi locale, ha poi deciso di investire la grande disponibilità di fondi raccolti non solo per la prima emergenza e per la ricostruzione delle case ma anche per alcuni progetti di sviluppo.

Nel caso dei progetti educativi si è preso le mosse da programmi già sperimentati con successo in passato dalla stessa Caritas Colombo e per quanto riguarda lo sviluppo sociale ed economico valutando attentamente la situazione con uno studio del territorio. «Nel corso del primo trimestre del 2006 – spiega ancora Daniele Lodola – si sono investiti tempo e risorse nell’identificazione dell’intervento, nella formazione delle risorse umane, nella riflessione circa un diverso approccio al programma di riabilitazione più centrato sullo sviluppo sostenibile di lungo periodo. Il secondo trimestre è stato invece caratterizzato dalla formazione dei beneficiari e dalla raccolta dei loro bisogni. Si è quindi deciso di affrontare l’intervento di sviluppo socio economico secondo il metodo sperimentato dalla Caritas Colombo e Caritas Sri Lanka in generale: la formazione di gruppi attraverso cui raggiungere beneficiari del programma».

Un ruolo importante in questo progetto ce l’hanno le donne che costituiscono l’85% dei partecipanti. «Il panorama di bisogni e problematiche – riflette Lodola – è variegato e spazia dalla necessità di un prestito per cominciare un’attività generatrice di reddito alla necessità di condividere la propria giornata con altre persone attraverso il dialogo; dal desiderio di nuove conoscenze alla volontà di essere assicurati dal gruppo nel caso di imprevisti finanziari e umani». Sono stati dati piccoli prestiti per avviare attività lavorative a 600 persone per un totale di 60.000 euro. È stato individuato un intervento triennale articolato in cinque settori: educativo, sociale, economico, naturale, fisico. Per ogni settore viene elaborata annualmente una proposta progettuale in maniera partecipativa coinvolgendo gli animatori, i capigruppo e i beneficiari. Nei progetti di sviluppo a Colombo sono state coinvolte almeno 3.000 persone. I progetti di sviluppo vogliono anche distogliere da una mentalità di dipendenza dalle agenzie umanitarie e dalle organizzazioni come la Caritas che rappresentano le istituzioni.

«Il passaggio – conclude Lodola – dall’assistenza della prima fase allo sviluppo di quella attuale incontra difficoltà nell’essere accettata da alcuni gruppi di beneficiari che si aspettano solo interventi di tipo assistenziale e sussidiario». La Caritas diocesana bergamasca poi ha deciso di intervenire nelle zone recentemente colpite dalla guerra tra le Tigri Tamil e le forze militari governative. Si calcola che gli scontri nel Nordest del Paese abbiano causato almeno 1.400 morti oltre a 135.000 profughi in fuga dalle città. «Si tratta di un’emergenza che si va ad aggiungere alla situazione di incertezza generata dallo tsunami – spiega don Visconti –. Ho assistito personalmente all’allestimento dei primi centri di accoglienza dei profughi a Batticaloa. È per questo che abbiamo deciso di sostenere l’attività di padre Pierluigi Vajra, dei religiosi somaschi, impegnato in progetti di sviluppo per i giovani della zona».

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