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Dimissioni clima aziendale e stipendi La leva buona del welfare aziendale

Articolo. Già in pandemia almeno 4 imprese su 10 hanno introdotto la figura del «welfare manager». Bankitalia denuncia: in Lombardia tornano a crescere le dimissioni volontarie. E riparte la fuga all’estero dei talenti in cerca di retribuzioni più adeguate.

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Tutti i temi della nuova emergenza

Ci sono tutti i temi che da mesi si stanno discutendo su più tavoli, sindacali, di governo, imprenditoriali. Dentro l’ultimo rapporto di Bankitalia, sullo stato di salute dell’economia regionale, il fronte lavoro è passato un po’ in sordina. In realtà, Lombardia al centro, l’analisi dei tecnici ha rimesso sotto osservazione almeno due risvolti che stanno già animando il confronto sul nuovo mercato del lavoro e le sue diverse transizioni. Il primo: i bassi livelli di retribuzione (solo in parte mitigati dal recente obbligo dei nuovi minimi salariali, l’emergenza è soprattutto concentrata nelle fasce alte di competenza e di specializzazione) sta rigenerando il fenomeno della fuga all’estero dei nostri migliori giovani e talenti.

Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, al Forum della Pubblica amministrazione, ha rilanciato proprio questo timore. «Sono molto preoccupato del fatto che questa dinamica sta provocando la crescita di alcuni fenomeni migratori, ovvero di quei giovani che se ne vanno a cercare in altri Paesi salari più alti. Lavoro povero significa pensioni povere – ha aggiunto il ministro - e significa non solo avere ingiustizie oggi, ma avere anche ingiustizie proiettate nel futuro». Un fenomeno di certo non di oggi, ma che ha caratterizzato per molti anni e sta ancora segnando il mercato del lavoro italiano.
Paghe basse, ma anche contratti “falsi”, lavoro nero travestito da tirocini, da percorsi di formazione, da stage, perfino da apprendistato. Tutto sottopagato, senza rispetto degli orari, del numero di giornate di lavoro, festivi non pagati. E, alla fine, peggio ancora nulla di questi rapporti di lavoro, spesso solo informali, si è mai trasformato in veri e propri contratti definitivi e stabili.
Intanto , è la denuncia di Ivana Veronese, segretaria confederale della Uil, «aumentano i contratti a chiamata, in somministrazione e a tempo determinato, per i quali 1 attivazione su 3 dura al massimo 30 giorni. Il lavoro temporaneo-precario tiene testa sull’aumento tendenziale dell’occupazione. A rendere ancor meno felice il quadro del mercato del lavoro, l’aumento degli infortuni sul lavoro. E’ ciò che estrapoliamo dalla lettura dei dati del I trimestre 2022, contenuti nella nota congiunta sulle tendenze dell’occupazione pubblicata da ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail, Anpal. Una sola riflessione: c’è molto su cui lavorare, a partire da un cambio culturale sul tema del lavoro, in cui «un lavoro sicuro in un ambiente di lavoro sicuro» sia la motrice della ripresa occupazionale».

Rilancia un’osservazione il ministro del Lavoro: «Spesso ci si meraviglia che alcune persone non siano d’accordo nell’accettare dei lavori precari a 800 euro, invece - ha sottolineato il ministro Orlando -. Ci si dovrebbe meravigliare che molti e per molto tempo lo abbiano accettato o siano stati costretti ad accettarlo, noi con questo dobbiamo fare i conti».

 

E i conti si possono fare anche sul secondo fronte di discussione. Il fenomeno delle dimissioni volontarie dal posto di lavoro. Il dopo emergenza sanitaria ha rilanciato una profonda riflessione sul senso del lavoro, sulle condizioni in cui si svolgeva la propria professione. Ma ancora di più sul significato da dare alla propria vita specificatamente in relazione alla propria professione e alla opportunità lasciata o favorita dalle aziende di conciliare queste due dimensioni della vita.
La fase espansiva di crescita che ha caratterizzato il 2021, anche in Lombardia ha stimolato di certo l’occupazione, salita nel complesso nel 2021 dello 0,4%, anche se con un ritmo inferiore alla media del Paese (0,8%). Il saldo tra nuove assunzioni e cessazioni dei rapporti di lavoro dipendenti, invece, è tornato positivo e le cessazioni dei contratti a tempo indeterminato promosse dai datori di lavoro sono rimaste contenute, nonostante il progressivo sblocco dei licenziamenti. Meno licenziamenti in Lombardia, quindi, ma trasversali a tutti i settori, con un dato più accentuato nelle costruzioni. Questo nell’ordinarietà del regime di turnover, seppur sullo sfondo di una crisi pesantissima.

Le dimissioni volontarie tornano in crescita

Il vero fenomeno, invece, che riporta al nuovo significato da dare alla relazione vita-lavoro, sono le dimissioni volontarie. Un fenomeno che, invece, dopo essere diminuito nel 2020, è tornato a superare i livelli pre-pandemia nel 2021, aumentando soprattutto nelle costruzioni e nell’industria.

Le analisi di Bankitalia leggono in questo ritorno del fenomeno il sovrapporsi di diverse cause. Prima conseguenza – da leggere al contempo come causa-effetto - è legata all’intensificarsi della ricerca attiva di un nuovo lavoro, dinamica che ha comportato un aumento del tasso di disoccupazione. Il ricorso ai regimi di integrazione salariale nel frattempo è diminuito. I divari di genere in Lombardia, in termini di partecipazione al mercato del lavoro, sono risultati inferiori rispetto alla media italiana.
E sono emerse ancora differenze importanti a svantaggio delle donne in termini di ore lavorate, stabilità della posizione occupazionale e retribuzioni. Ma è qui che ritorna la causa trainante del fenomeno delle dimissioni volontarie: le difficoltà di conciliare la vita lavorativa con quella privata, e questo vale a differenza del genere. In più, dal report di Bankitalia, le donne sono fortemente sottorappresentate nei percorsi di studio scientifici e tecnologici, le cui professionalità sono invece particolarmente richieste dalle imprese.

Divario di genere al mercato del lavoro

Ma restiamo sul questo aspetto, del report sull’economia lombarda 2021 della Banca d’Italia di Milano: i divari di genere in Lombardia, in termini di partecipazione al mercato del lavoro, sono inferiori rispetto alla media italiana, rispettivamente 14,7% e 18,9%.

 

evidenzia le diverse differenze a svantaggio delle donne in termini di ore lavorate, stabilità della posizione occupazionale e retribuzioni, e tutto questa “precarietà” si trasforma in disagio sul posto di lavoro e difficoltà di conciliare la vita lavorativa con quella privata dovute ai carichi di cura familiari. Per le donne con figli piccoli, infatti, i carichi di cura della famiglia possono risultare particolarmente onerosi: tra i genitori di bambini in età prescolare, il divario di genere nei tassi di attività risulta più accentuato.

Un dato significativo rilevato dall’indagine: la peggiore condizione retributiva delle donne deriva non solo dal minor numero di ore lavorate retribuite rispetto agli uomini. Ma anche da quanto viene pagata ciascuna ora, a parità di caratteristiche personali se non addirittura in presenza di titoli di studio superiori delle donne rispetto agli uomini. C’è in più questo dato: sebbene le donne raggiungano risultati accademici simili rispetto ai loro colleghi, a un anno dalla laurea le loro condizioni lavorative, in termini di salario e stabilità, sono peggiori.

Le donne in calo nelle discipline Stem

Altro focus, in questa ottica di analisi di genere, su cui è interessante fermarsi: le donne in base allo studio Bankitalia Milano costituiscono il 55,5% dei laureati nelle università lombarde, ma solo il 39,5% dei laureati nelle discipline Stem (science, technology, engineering e mathematics) sono donne, nonostante queste competenze e professionalità siano fra le più ricercate dalle imprese.

Tale divario è più accentuato negli atenei lombardi, dove è rimasto sostanzialmente stabile negli ultimi anni, rispetto alla media italiana, dove invece è solo lievemente aumentato.

 

La mancanza di politiche e di strategie per impostare un efficace sistema di politiche di conciliazione vita-lavoro è uno dei fattori rilevanti (insieme a livello retributivo, possibilità di smart working, prospettiva di crescita professionale e personale, clima aziendale….) che sta portando molti giovani, in particolare, ma anche persone e lavoratori già inseriti nelle aziende a scegliere di cambiare impresa.
Tutto questo se gestito o non gestito ha un impatto positivo o negativo sia sul benessere dei lavoratori, sia sulla produttività delle imprese. L’hanno intuito subito numerose imprese, poco meno di una su due (il 43,3%) le quali non sono nel 94% dei casi confermerà per i propri dipendenti le misure in aiuto delle famiglie attivate durante la pandemia, ma hanno già hanno introdotto la figura del welfare manager convinte che un efficace sistema di politiche di conciliazione vita-lavoro abbia un impatto positivo sia sul benessere sia sul più ampio clima aziendale.
Questo è solo un primo dato emerso dall’ultima indagine di giugno «Investire nella genitorialità», elaborata dall’Università di Torino per conto della Fondazione Ulaop-Crt, con un focus d’analisi sul welfare aziendale, e che ha monitorato e valutato l’impatto sociale delle azioni di welfare a sostegno della genitorialità messe in atto da 142 imprese social, aziende e 2 associazioni temporanea di imprese, le Ati.

Nasce nelle imprese il «welfare manager»

I dati sono molto chiari sia rispetto ai bisogno, ma soprattutto sia rispetto alle nuove condizioni espresse dai lavoratori per restare in azienda. Eccole, per esempio: vicinanza dei minori al posto di lavoro (azione chiave per una buona conciliazione vita famigliare-professionale), percorsi di sostegno per le donne al rientro dopo una fase di post partum, supporto ai genitori di adolescenti, spesso in difficoltà a causa della fase di grande cambiamento per i propri figli.

 

Così, se nella fase pre-pandemica il welfare aziendale veniva considerato come un approccio innovativo, con l’emergenza è diventato uno strumento indispensabile per i lavoratori e i loro figli. Se più di nove aziende su dieci continueranno a garantire in futuro le stesse misure di tutela attivate in pandemia, le stesse segnala anche «nuove misure meriterebbero un finanziamento costante: l’attivazione di sportelli di sostegno psicologico, soprattutto agevolazioni in tal senso al di fuori dal luogo di lavoro, e il ricorso allo smart-working». Non solo: molti lavoratori ritengono cruciale anche una maggiore comunicazione interna sui servizi di welfare offerti dalle imprese, passaggio cruciale perché più lavoratori possano usufruirne, diventando di conseguenza più efficaci.

Le risposte e la leva strategica per le aziende

Le riflessioni finali che emergono dalla ricerca indicano l’importanza di monitorare nelle fasi post-emergenza sanitaria e valutare gli effetti degli incentivi proposti sullo sviluppo delle azioni messe in campo dalle imprese, anche in collaborazione tra le realtà territoriali, considerando che il 60% degli enti ha dichiarato che i servizi di welfare offerti ai dipendenti prevedono il coinvolgimento di aziende locali.

 

«Per una realtà come la Fondazione Ulaop-Crt Onlus, che ha l’obiettivo di fare da tramite tra le famiglie fragili con bambini e le istituzioni presenti sul territorio, politiche e misure che vadano nella direzione della conciliazione vita-lavoro sono fondamentali, perché sempre di più emerge in modo chiaro il duplice beneficio delle azioni di welfare aziendale per le lavoratrici e i lavoratori, ma anche le imprese stesse – spiega Cristina Giovando, presidente della Fondazione Ulaop-Crt Onlus -. Inoltre, i tempi sono maturi per pensare a misure di welfare aziendale che non sostengano solo le mamme, ma entrambe le figure di riferimento del bambino, solo così si agirebbe in maniera completa su tutto il nucleo familiare».

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