Le storie dimenticate
Domenica 01 Settembre 2013
Giochi enigmatici incisi nelle rocce
Tracce misteriose a Lizzola e Pontida
di Emanuele Roncalli
Quadrati concentrici, triangoli enigmatici, disegni geometrici misteriosi. Scolpiti nella pietra, incisi nella roccia, questi segni appaiono (o apparivano) su massi sparsi in Bergamasca. Rebus o remoti rompicapi? Avete storie del vostro paese o luoghi dimenticati da segnalare? Scrivete a [email protected]
Quadrati concentrici, triangoli enigmatici, disegni geometrici insoliti e misteriosi. Scolpiti nella pietra, incisi perennemente nella roccia, questi segni appaiono (e in alcuni casi apparivano) su muretti e massi sparsi in varie località della Bergamasca. Simboli o codici di un mondo lontano? Bizzarrìe di qualche burlone? Rebus o remoti rompicapi?
L'arcano è presto svelato. Almeno in parte. Perché se è vero che si tratta di «tavolieri lapidei», come dicono gli esperti, ovvero di antichi giochi (dimenticati) «intarsiati» su lastroni e sassi, è altrettanto vero che non sempre sono di facile comprensione, svolgimento e soluzione. In Francia fior di ricercatori ne hanno censiti e catalogati a centinaia. In Italia - fatta qualche eccezione (Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria) - sono finiti nell'oblìo e nel peggiore dei casi sono stati sbriciolati dal tempo o dal lavoro dell'uomo. Anche la Bergamasca ha (aveva) esempi di grande interesse, dei quali rimangono spesso solo alcune fotografie ingiallite. Il più intrigante quello presente fino a qualche decennio fa sul muretto del sagrato della chiesa di Lizzola, ovvero il «gioco del lupo e delle pecore», in dialetto ol lüf e i pégore che alcuni documentano già in una saga Islandese nel 1300, e che nelle nostre valli era diventato il passatempo preferito di mandriani e pastori. Per questo gioco, il tavoliere era composto da quattro quadrati divisi da mediane e diagonali (alquerque) accostati l'uno all'altro sino a formare un quadrato unico e da un quinto quadrato (o tria) affiancato al centro di uno dei lati. Gli studiosi hanno trovato questo tavoliere nel manoscritto di Alfonso X il Saggio (XIII sec.) come De Cercar la Liebre, un gioco di cattura come dice il titolo. Ma è noto anche con nomi diversi: «La Volpe e le Oche», Fox and Geese in inglese, oppure «La Volpe e le pecore», «Il lupo e le pecore» ecc.
Un contributo alla nostra ricerca ci è fornito da un agile volumetto del nostro collaboratore Franco Irranca («Giochi tradizionali delle vallate bergamasche», Edizioni Associazione Ardes, Ardesio, uscito nel 2008) che ricorda la presenza del «gioco del lupo e le pecore» su una lastra di pietra del sagrato della chiesa parrocchiale di Lizzola, frazione di Valbondione, malauguratamente andata perduta, durante alcuni lavori: su di essa era incisa la data 1715. Il gioco vedeva schierate 12 pecore contro un lupo e anche gli ovini avrebbero potuto incastrare il lupo in una casella: una sorta di scacco al lupo, in modo da imprigionarlo. Particolarmente complesse e articolate le regole del gioco per le quali rimandiamo il lettore al testo di Irranca.
Esempi di questo gioco sono invece visibili ancora oggi nel Verbano, a Ungiasca (Piazza Don Pagani), Corte Vanetti, Montorfano di Mergozzo, località nota per le cave di granito, Colonnata frazione di Carrara, Collodi Castello frazione di Pescia, per fare solo alcuni esempi. A Venezia sulle colonne del Fondaco dei Tedeschi (Palazzo delle Poste) sono visibili diversi filetti, alquerque e l'originale schema del «gioco del lupo e le pecore». Il gioco era presente anche in altre Regioni del Nord-Est. Ad esempio in Trentino i boscaioli incidevano il tavoliere sul legno, mentre in Bergamasca - come segnala Irranca - è possibile che i pastori ne siano stati gli autori. Sullo stesso muretto di Lizzola, sopra citato, vi era inciso anche una bagoléra per il gioco del bagòl, l'antenato della dama, gioco di strategia che vedeva affrontarsi 12 pedine bianche e 12 nere. «Andando a damone» - come si suol dire - la pedina realizzava il re, la regina o il papa.
Ben più comprensibile e facile il gioco del filetto, tris o tria (motivo geometrico che si ritrova spesso sul retro delle scatole di dama generalmente in commercio). Questo tavoliere ha origini remote: si trova inciso sulle pietre del tetto del tempio egizio di Kurna (XV secolo a.C.) e sulla scalinata del tempio di Mihintale, costruito fra il 9 e il 21 d.C. in Sri Lanka.
Un gioco diffusissimo a qualsiasi latitudine: tracce sono state trovare persino in una necropoli dell'età del bronzo a Wicklow in Irlanda, in una nave vichinga in Norvegia, in Medio Oriente nel luogo dove sorgeva la prima città di Troia. Solo in Italia sono state ritrovate oltre 300 incisioni di tipo rupestre, soprattutto nel Nord, in Piemonte e in Liguria. Naturalmente non mancano testimonianze anche in alcuni luoghi della Bergamasca. Oltre a quello del muretto di Lizzola, un esempio è stato trovato su una pietra a Pegherola Alta (Valgoglio) accanto al quale sono state incise le misteriose iniziali «F.S.», la data 1660 e una croce che ricorda vagamente quella dei Templari.
Decisamente più intrigante, il filetto (detto anche mulinello o tavola a mulino) inciso sui gradini di pietra grigia del monastero benedettino di Pontida. Per scovarlo dovrete però farvi accompagnare dai monaci, in quanto si trova nei meandri del convento, su una scaletta interna, raggiungibile dopo aver percorso una sorta di labirinto di corridoi. La curiosità di questo tris sta nel fatto che nel secondo quadrato, tra una mediana e una diagonale, è stata incisa una croce: un particolare assolutamente inspiegabile.
A quando risalga questo gioco, cioè quando sia stato realizzato è difficile da dirsi: il monastero del resto è stato fondato l'8 novembre 1076, l'anno dell'umiliazione di Canossa, da Alberto da Prezzate, figlio di Ariprando, di stirpe longobarda. Ha dunque accompagnato la storia millenaria dell'Abbazia? E' possibile. E chissà quanti frati hanno giocato su quella scala: una piccola ricreazione, un momento ludico. Nel silenzio impenetrabile del convento.
Emanuele Roncalli
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