«Correvo, poi di colpo le gambe pesanti
Non combatto la malattia, ci convivo»

La storia di coraggio di Jennifer Persico, giovane pasticciera di Villa d’Almè: racconta come è cambiata la sua vita con la sclerosi multipla.

«Siamo noi pronti ad accogliere la nostra fragilità come essa è veramente?» si chiedeva il filosofo Jean Vanier. È davvero difficile essere pronti, ma se riusciamo ad accettare e a sopportare la sofferenza, ad adattarci e a cambiare, come acqua nel fiume della vita, possiamo trovare un’altra possibilità, una strada diversa, come è accaduto a Jennifer Persico. Lei, 34 anni, di Villa d’Almè, fine pasticciera, ha imparato presto che la vita è fragile come i fiori di zucchero che ricama sulle torte. Da dieci anni sul suo sorriso si è posata l’ombra della sclerosi multipla. Su ogni progetto la malattia stende un velo d’amarezza, l’unico modo per andare avanti è soffiarlo via, come se fosse polvere, ma ci vogliono coraggio e tanta energia. Il suo ingrediente segreto è l’amore: suo marito Marco le dimostra con semplicità, con la sua presenza quotidiana, che ogni ostacolo può essere superato.

I primi sintomi si sono manifestati quando aveva solo 24 anni: «Mi ricordo di essere uscita in terrazza e di essermi ritrovata all’improvviso con la vista annebbiata. Credevo di essere abbagliata dalla luce, ma il disturbo non passava. Mi sono rivolta a un oculista che mi ha diagnosticato una neurite ottica, consigliandomi una risonanza magnetica per approfondire. Poi, fortunatamente, sono guarita. L’infiammazione dopo tre mesi, al controllo, era passata da sola». Così Jennifer ha pensato di poter andare avanti come niente fosse.

«A dire la verità dopo la risonanza il neurologo che mi aveva visitato, in maniera un po’ cruda, aveva insinuato il sospetto che dietro questo sintomo potesse nascondersi la sclerosi multipla, ma io non l’ho preso in considerazione. Volevo la vita che avevano tutti gli altri giovani della mia età, per me quella patologia di cui non sapevo quasi nulla indicava un futuro oscuro, sulla sedia a rotelle». Jennifer ha aspettato, rassicurata dal fatto che la sua vita, col passare dei mesi e poi degli anni, proseguisse normalmente. Finché la sclerosi multipla ha deciso di manifestarsi di nuovo: «Una mattina sono uscita di casa per andare al lavoro – racconta –. C’era un cantiere sul marciapiede, avevo dovuto aggirarlo e mi ero resa conto che faticavo a mettere un piede davanti all’altro e a mantenermi in equilibrio. All’epoca andavo in palestra tre volte la settimana e correvo molto. Quella settimana l’allenamento del lunedì, era andato bene, ma due giorni dopo già non riuscivo più a controllare il movimento delle gambe, le sentivo pesantissime. All’inizio ho tentato ancora di tergiversare, dicendomi che potevano essere lo stress e la stanchezza, e che mi sarei rimessa presto. Poi, purtroppo, non è stato così».

È iniziato per Jennifer un periodo durissimo fatto di paura e solitudine. Era andata a vivere da sola da un paio d’anni e teneva molto alla sua indipendenza. Non diceva nulla alla sua famiglia, perché temeva che parlando della sua situazione l’avrebbe resa reale: «Ero certa che avrei perso tutto». Ha scelto di smettere di guidare, perché le vertigini arrivavano all’improvviso: «Mi sembrava di vedere il mondo sottosopra, ed ero paralizzata dalla paura di perdere il controllo della mia vita. È stato il momento più difficile, non sapevo più come comportarmi. Pensavo ai miei amici, ai miei genitori, a mia sorella, a quanto si sarebbero preoccupati, e non volevo che la mia vita cambiasse». Jennifer ormai aveva capito con chiarezza che in lei c’era qualcosa che non andava, ma continuava a comportarsi come se riguardasse qualcun altro: «Associavo la malattia alle poche informazioni che avevo, ed è stato un grosso errore. I sintomi andavano e venivano, e questo contribuiva a rafforzare la mia illusione che non si trattasse di una vera malattia, anche se ogni tanto, nei momenti peggiori, mi tornava in mente la visita e il sospetto di quel neurologo. Era come se la malattia volesse a tutti i costi farsi riconoscere e invece io mi rifiutassi di accettarla».

È stato a questo punto che nella sua vita è entrato Marco, e l’incontro con lui ha segnato fin dall’inizio una svolta importante: «Siamo diventati subito ottimi amici prima che fidanzati. Mi fidavo di lui, è stato l’unico a cui io mi sia sentita di confidare che cosa mi stesse accadendo. Grazie alle sue insistenze mi sono finalmente decisa a sottopormi a nuovi esami per trovare l’origine dei miei malesseri». Il suo medico di base ha richiesto una visita con un otorino, pensando che potesse trattarsi di labirintite. Lo specialista le ha dato una terapia da seguire per venti giorni. «Mi ha subito avvisato, però – osserva Jennifer –, che se i sintomi persistevano avrei dovuto subito eseguire una risonanza magnetica all’encefalo. E così è stato. Dopo l’esame mi sono rivolta a un neurologo che ha uno studio nel mio paese e lui mi ha comunicato la diagnosi definitiva di sclerosi multipla. Gli ho confessato cos’era successo, compresa la mia ostinazione nel negare la malattia, perché sentivo di essere incapace di affrontarla. Lui, una persona di grande umanità, mi ha capito e ha saputo aiutarmi. Eravamo sotto Natale e mi ha permesso di trascorrerlo a casa. Ho provato ancora timidamente a protestare, perché quello è un periodo di grande impegno per una pasticceria ma mia madre e Marco, che stavolta avevo portato con me, mi hanno impedito di scappare ancora: il 27 dicembre ero ricoverata al San Raffaele di Milano per tutti gli accertamenti necessari». L’incubo peggiore di Jennifer è stato fin dall’inizio di non poter più camminare sulle sue gambe: «È stata la prima cosa che ho chiesto al medico, col tempo, però, ho capito che non esistono certezze per nessuno, neppure per chi è sano, e che dovevo vivere, andare avanti, senza lasciarmi condizionare dalle mie paure. Ho dovuto imparare ad ascoltare il mio corpo, a riconoscere i miei limiti e a rispettarli. Così è iniziata la mia convivenza con la sclerosi multipla».

Fare i conti con quell’«astronave aliena» in agguato dentro di lei non è stato facile, da nessun punto di vista: «Non sapevo come avrebbe reagito Marco, avevo paura di coinvolgerlo in una situazione così precaria e incerta. La sua risposta, però, è stata di trasferirsi da me: abitava a Milano, si è spostato a Villa d’Almè e dopo qualche mese mi ha chiesto di sposarlo». Marco sorride: «È un passo che avremmo fatto comunque, per me quella diagnosi non ha cambiato nulla. Mi importa solo di renderla felice. Non esiste una difficoltà che non possiamo affrontare insieme». A quel punto Jennifer era certa che il peggio fosse passato: «Purtroppo, però, non avevo fatto i conti con la reazione della gente. Si sono diffuse voci incontrollate e peggiorative sulle mie condizioni di salute e questo mi feriva profondamente». Ci sono voluti mesi per rielaborare la situazione e affrontare lo choc iniziale: «All’inizio cercavo di riprendere la routine quotidiana, poi mi sono resa conto che c’era “qualcosa” che decideva al posto mio. Ho dovuto accettare l’evidenza, comprendere che tutto sarebbe cambiato. Ho smesso di andare in palestra, perché mi mancavano le forze. Ho iniziato una terapia di cortisone che ha influito in modo marcato sulla mia forma fisica».

La malattia le ha portato via energie, equilibrio, abitudini, e poi anche qualcosa di completamente inaspettato: i suoi amici. «All’inizio c’erano quei silenzi improvvisi nelle conversazioni che non sapevo come riempire, con un po’ d’imbarazzo, ma mi sembrava comprensibile. Ho aspettato con pazienza che passasse, invece non è accaduto. Sembrava che nessuno avesse più tempo per me, non chiamavano più per invitarmi, e all’epoca dei social è facile accorgersi che gli altri del nostro gruppo continuavano a frequentarsi come al solito. Ho cercato più volte di prendere l’iniziativa, ma non è andata bene e ho lasciato perdere, con un po’ di tristezza». «Attraversa il tuo dolore, arrivaci fino in fondo – dice la canzone di Simone Cristicchi “Abbi cura di me” –. E ti accorgerai che il tunnel è soltanto un ponte. E ti basta solo un passo per andare oltre». Anche per Jennifer è stato così, dopo la diagnosi ha incontrato anche molte persone che le hanno dimostrato attenzione e affetto: «Ho stretto nuove amicizie, sincere e profonde. Ho imparato a conoscere meglio me stessa: la sclerosi multipla mi ha portato a riflettere su che cosa è davvero importante. Cerco di salvare ciò che conta, togliendo tutto il superfluo».

Così Jennifer si sfoga scrivendo, nel suo diario e sui social network, e continua a creare e a decorare torte, un’arte in cui è particolarmente abile e fantasiosa. Ha dovuto affrontare tanti cicli di cure e due ricadute con nuove lesioni nel midollo spinale, scoperte nelle risonanze di controllo: «Ora so che ogni segnale lanciato dal corpo, anche se apparentemente banale, può essere legato alla malattia. Certe mattine mi alzo e sono già stanca, e non è la stessa stanchezza di una persona sana. Non si può fare ogni giorno la guerra alla malattia, non vince il più forte ma chi si adatta al cambiamento. Questo è l’augurio che faccio a tutti quelli che soffrono come me: imparare a sviluppare le proprie personali strategie di adattamento. Mi aiuta molto potermi confrontare con altri, per questo da qualche anno frequento l’associazione per la sclerosi multipla (Aism) di Bergamo, che mi offre un sostegno prezioso. Ho riscoperto il valore della comprensione e della gratitudine. Spesso la gente non si accorge di quanto sia fortunata a essere sana. Vorrei che tutti ne comprendessero l’importanza, e che questo rendesse più gentili verso chi è fragile. Non è facile capire questa malattia, perché spesso non è visibile. Bisogna lottare con qualcosa che non si vede e con i pregiudizi. Nessuno dovrebbe affrontare questo cammino da solo».

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