L’Atalanta è l’avventura

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Vi proponiamo un bell’intervento pubblicato sul gruppo Facebook di Corner da Jacopo Santoro, un giovane tifoso atalantino, molisano e residente a Bologna, che di bergamasco ha una sconfinata passione nerazzurra.

Innumerevoli volte, il quesito, ma-perché-sei-dell’-Atalanta, tu che da Bergamo disti chilometri settecento-quindici, e otto ore di viaggio, non è mica Testaccio-Garbatella, mica le conosci le Orobie infarinate di neve, e mica come te conversano, ché là è tutto un pota scecc ciapala sura sota baloss, altri suoni, altro ceppo, altra scorza.

Ma è la stessa, la scorza, è la stessa la pelle di chi non dice vado-allo-stadio, ma dice vado-all’-Atalanta, e io vado all’Atalanta da quando ero alto un metro, sfogliavo l’album per sceglierne una, e questo nome classicheggiante mi chiamava come una sirena, lunghi fluenti dorati capelli al vento.

E poi ho capito, un giorno, poi un giorno tutto ha incominciato a riordinarsi, ché in «Us and them» di Gilmour e soci sento cantare «black and blue», ed è quella l’investitura cromatica. E poi il cinema di Vigo, la sua barca, il suo film, «L’Atalante», la dolcezza in bianco e nero, Jean che si tuffa in acqua per ritrovare Juliette, sconfinato acquatico amore. E ancora Bufalino detto Dino, che mai è contento della sua opera, mai sente di mettere un punto definitivo, ché il-punto-spetta-a-Dio-e-non-agli-uomini, così ha dichiarato un ungherese, e Dino di continuo quell’opera la plasma, la impasticcia, la rilucida, ché il perfettismo è la sua fede, il perfettismo come ciò-che-quasi-grandiosamente-è, ma-non-è-ancora, dunque perenne condizione di crescita, di progressione, di onanismo, di non-morte, senza mai appagare del tutto, se no che gusto ci sarebbe. E l’Atalanta è questo, è sempre ciò che potrebbe essere e non è ancora, ché ci manca sempre qualcosa, è l’avventura, l’Atalanta, l’ho capito in un documentario di Herzog in Antartide, si dice che rivelare l’ultimo luogo sconosciuto e vergine sulla terra fu irreversibile e triste, ché al Polo Nord e sull’Everest non si doveva andare, ché un posto inesplorato sulla mappa ci vuole sempre, serve la chimera, il sogno, l’imperfezione, anzi il perfettismo, come l’Atalanta, non è altro che l’avventura, non è altro che il continente inesplorato, ed è già tutto scolpito nella sua natura, erroneamente la chiamano dea ma Atalanta fu invero ninfa, metà divina metà umana, e non è questa la più grande traccia del suo perfettismo, del suo essere monca, avventurosa, illimitata?