Atalanta, arriva il Genoa ma non i suoi ultrà. Una curva, un nome: Ottavio Barbieri (che ci portò in A per la 1ª volta)

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Via Armenia 5r. Genova. Quella rossoblu, a 100 metri da piazza Alimonda, teatro della morte di Carlo Giuliani. Nella “Zena” popolare, a un tiro da schioppo dai binari della stazione di Brignole. Un indirizzo che sa di casa per chi tifa Genoa perché qui è nato l’Ottavio Barbieri, un simbolo per il rossoblu: un club che lo scorso novembre ha compiuto 50 anni e ha segnato storia ed evoluzione della gradinata Nord, una delle più belle e calde del panorama nazionale. “1970-2020. Uomini, ultrà, genoani veri di oggi e di ieri siamo tutti il Genoa club Ottavio Barbieri” c’era scritto nello striscione celebrativo esibito lo scorso 17 novembre con tanto di torciata, ed è la sintesi di tutto. Perché parlare di tifosi proprio ora che gli spalti rimangono drammaticamente vuoti? Perché proprio ora torna alla mente lo slogan che in Inghilterra segna da sempre la lotta alle politiche societarie volte ad alzare i prezzi in modo indiscriminato così da tagliare fuori la working class dagli stadi: “Football without fans is nothing”, il calcio senza tifosi è niente. E parlare di quelli del Genoa che domenica avrebbero sicuramente riempito, come sempre, il settore ospiti di Bergamo, vuol dire ripercorrere una delle storie più significative del movimento ultrà italiano: temuti e rispettati, da sempre rivali della Nord bergamasca anche in forza dell’antico gemellaggio (ora sciolto) con la sponda blucerchiata di Genova. Ottavio Barbieri era innanzitutto un giocatore del Genoa scudettato: ne vinse due, nel 1923 e 1924 prima di passare in panchina nel 1933 a L’Aquila e poi dedicare quasi tutta la sua carriera a squadre liguri dal 1934 al 1948. Con una parentesi, all’Atalanta. E che parentesi: è lui l’allenatore della prima, storica, promozione nella serie A a girone unico, stagione 1936-37.

L’anno dopo i nerazzurri retrocedono e lui torna in Liguria, Genoa, Rapallo, Spezia, Sampierdarenese e i Vigili del Fuoco Spezia con i quali vince il famoso campionato del 1944 mai riconosciuto e che i liguri celebrano ancora oggi con una patch sulla maglia. Muore a soli 50 anni dopo aver allenato anche Seregno e Lucchese ed entra nella leggenda.

 

Nel 1970 il Genoa retrocede per la prima volta in serie C: per il club più antico d’Italia (1893) è uno schiaffo senza precedenti. Capiterà ancora nel 2003 ma verrà ripescato e nel 2005 quando in terza serie ce lo manda la giustizia sportiva causa illecito. La tifoseria rossoblu reagisce cercando di darsi una forma stabile: nasce così l’Ottavio Barbieri che trova casa in via Armenia 5r. Da qui passeranno tutti i club che hanno segnato la storia della gradinata Nord a cominciare dalla mitica Fossa dei Grifoni ora sciolta. Quella sede diventa un simbolo, cambiano i nomi dei gruppi e gli equilibri interni, ma ogni cosa viene decisa all’Ottavio Barbieri che diventa una sorta di nume tutelare dell’ortodossia rossoblu.

 

La Fossa dei Grifoni nasce negli anni delle piazze calde, nel 1973: gente dura dei quartieri popolari, dei caruggi del porto, molti giovani affascinati dallo stile e dall’organizzazione quasi militare del gruppo. Che però, dopo pochi mesi dalla fondazione, decide di stabilirsi pure lui in via Armenia 5r, a saldare il rapporto con l’Ottavio Barbieri e lavorando insieme, sempre in parallelo. Una storia durata 20 anni, fatta di personaggi temuti e rispettati nel mondo ultras: gente come Lollo, Cipolla, Carmagnola, Katanga, protagonisti di scontri feroci con la tifoseria atalantina, e non solo.

Gli incroci pericolosi

Memorabile (per loro) l’esodo del 14 giugno 1981 quando in oltre 10mila invadono Bergamo per una partita doppiamente decisiva: in palio la A per il grifone e la C1 per noi. Come è finita è purtroppo storia e le immagini della tifoseria rossoblu festante che occupa tutta la Sud e parte della gradinata sono purtroppo ancora negli occhi di quella nerazzurra, seconde solo alla festa-scudetto del Verona nel 1995. E ancora, la trasferta di Alessandria del campionato di C1 successivo quando, complici due partite al sud per Genoa e Torino, qualche esponente di peso delle due tifoserie pensa bene di spostarsi nella cittadina piemontese per regolare i conti quasi a chilometro zero con gli ultrà dell’Atalanta. Che al “Moccagatta” ci arrivano pure in ritardo causa problemi tecnici in serie ai pullman. In campo torna Ezio “goal” Bertuzzo, sugli spalti succede di tutto con i bergamaschi che decidono di regolare i conti entrando a fine gara nella curva dei padroni di casa a caccia di granata e rossoblu.

Anfield nella storia

Negli annali anche la trasferta in 8.000 ad Oviedo per il primo turno di coppa Uefa del 1991, primo atto di una cavalcata che finisce in semifinale contro quell’Ajax che vince il trofeo superando il Torino di Emiliano Mondonico. Ma che ai quarti regala ai liguri l’indimenticabile trasferta ad Anfield dove battono 2-1 il Liverpool e diventano la prima squadra italiana a violare il campo inglese.

Già, Amsterdam e Liverpool, due campi espugnati nei mesi scorsi dall’Atalanta in Champions League ma senza pubblico né tantomeno tifosi al seguito: qualcosa che invidieremo per sempre ai rossoblu che, tra le altre cose, sono una delle tifoserie più belle da vedere e sentire. Tra le più inglesi del panorama italiano, vuoi per l’origine storica che per il modo di fare tifo, sia nella vecchia versione della gradinata unica (bellissima) di Marassi che in quella a due livelli post restyling.

«Basta lame, basta infami»

 

Dopo lo scioglimento della Fossa nel 1993 è ancora l’Ottavio Barbieri a riprendere in mano le redini della gradinata, sia in prima persona che diventando una sorta di buen retiro per gli orfani del gruppo. Accanto al loro striscione ne appare uno con la scritta “vecchi orsi” a testimoniare un legame con la mentalità storica della Nord. Ed è sempre il club di via Armenia 5r a gestire un’altra fase drammatica, quella successiva alla morte di “Spagna”, al secolo Claudio Spagnolo, accoltellato nel 1995 prima di un Genoa-Milan. Pochi giorni dopo, a Genova, si ritrovano quasi tutte le tifoserie d’Italia che si compattano su un documento preparato proprio dagli atalantini e incentrato su uno slogan che nelle domeniche successive compare in molte curve: “Basta lame, basta infami”.

L’eterno duello con Preziosi

 

Pochi giorni dopo il 50° dell’Ottavio Barbieri la Nord ha perso un altro dei suoi gruppi, forse il più controverso: in un panorama comunque di sinistra (come del resto vuole la tradizione popolare della città) e quindi antifascista la “Brigata Speloncia” è stato qualcosa di decisamente diverso, quasi stridente, nella gradinata. Prende il nome di Claudio Natale detto appunto “Speloncia”, scomparso nel 2003, militante di lunga data della Fossa e vicino a Terza Posizione. Intorno al suo ricordo si coagula così un gruppo di giovani con marcate idee di destra che si ricava uno spazio importante nella Nord creando anche diversi problemi di ordine interno: è sempre da via Armenia 5r che arriva l’ultima parola con un comunicato dove si prendono le distanze da ogni forma politica, ribadendo “di essere pronti a intervenire per mantenere le linee guida e i principi che ci hanno insegnato i vecchi della gradinata”. Un modo di fare tifo che non ha mai fatto sconti a nessuno, in particolare al presidente rossoblu Enrico Preziosi nel mirino di una contestazione praticamente eterna, ma che a volte è caduto nel penale. Proprio in questi giorni è arrivata una pioggia di Daspo: 56 anni di divieto di partecipazione alle manifestazioni sportive per 8 tifosi che, secondo la Procura, avrebbe estorto alla società rossoblù oltre 300 mila euro per garantire «la pace della tifoseria».

La sfida di Gasp

Ma anche mister Gasperini aveva avuto il suo bel daffare con una parte della gradinata, facendo pure nome e cognomi di alcuni capibastone (famosi a Genova) “gente che è contenta se il Genoa viene sconfitto perché hanno più visibilità. Ho un concetto molto più alto dei tifosi del Genoa rispetto a quei 3-4 elementi che contestano”.

E che spesso sono usciti (molto) dalle righe, come nel famoso match casalingo contro il Siena del 27 aprile 2012 quando sullo 0-4 hanno fatto sospendere la partita e obbligato i giocatori a togliersi le maglie perché ritenuti indegni. I Daspo e l’inchiesta in corso riguardano anche questo episodio. L’altra faccia di una tifoseria tanto passionale quanto a volte eccessiva, il rosso e il blu, insomma. Oggi nell’attesa di tornare sugli spalti di Marassi, nella Nord campeggia un gigantesco striscione con la scritta “You’ll never walk alone”, un classicone. Sotto ce n’è un altro più piccolo, sempre rossoblu: c’è scritto solo via Armenia 5r.