Atalanta e Cagliari unite da un filo uruguagio, che parte da Herrera e finisce con Godin (che sono suocero e genero)

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I pranzi di famiglia devono essere parecchio divertenti. Di quello dove non passa uno spillo se i due decidono di mettersi in difesa. Josè “Pepe” Herrera e Diego Godin, uruguaiani di quelli fatti e finiti, due mastini che se si attaccano alle caviglie (o a qualsiasi altra parte del corpo più o meno lecita) è finita: grintosi, molto tecnici all’occorrenza, ma soprattutto asfissianti come vuole la grande scuola della Celeste. Un Paese di 3 milioni e mezzo d’abitanti, la metà nella capitale Montevideo, e dove esiste solo uno sport: il calcio. Qui si è giocata la prima edizione del Mondiale, vinta dai padroni di casa, ca va sans dire, in un Paese che vanta il miglior rapporto tra numero di abitanti e trofei vinti: due Coppe Rimet e 15 edizioni della Coppa America. Un popolo di combattenti nati, come Oscar Washington Tabarez, detto “El maestro”, affetto da una neuropatia cronica che però non gli ha impedito di allenare guidare la sua Nazionale ai Mondiali di Russia 2018 anche in stampelle e visibilmente sofferente. Herrera e Godin hanno giocato entrambi al Cagliari, un’autentica colonia uruguagia in Italia: qui è passata gente come il grande Enzo Francescoli, ma pure il deludentissimo Victorino, esploso durante il Mundialito giocato a cavallo tra 1980 e 1981 tra le 6 squadre che fino a quel momento avevano vinto il Mondiale. Anzi, 5 perché l’Inghilterra come da tradizione si era chiamata fuori sostituita da un’Olanda in fase decisamente discendente. Ovviamente tra calcio e calci quel torneo - trasmesso in Italia da un’emergente televisione privata di un’emergente imprenditore milanese, leggi Canale 5 e Silvio Berlusconi - lo vince l’Uruguay.

Grande calcio quello del piccolo paese sudamericano: l’immenso “Pepe” Schiaffino, Ghiggia, Aguilera, Montero e in tempi più recenti gente come Tabarez in panchina e in campo Cavani, Recoba, Ruben Sosa, Suarez, Caceres, Fonseca, Bentacur e Nandez che gioca proprio a Cagliari insieme ai connazionali Pereiro e, appunto, Godin. Garra e classe, in due parole: gente che sa giocare bene il pallone e all’occorrenza incrociare i tacchetti. Non necessariamente in questo ordine.

Herrera e Godin hanno anche un’altra particolarità, sono suocero e genero. Il difensore ex Inter e Atletico Madrid ha sposato Sofia, figlia del centrocampista (ma pure tuttofare in difesa) ex nerazzurro. Tutto con la benedizione del vero nume tutelare del calcio uruguaiano nel mondo, il supermegaprocuratore Paco Casal che da anni decide destini e destinazioni della stragrande maggioranza dei giocatori della Celeste. E’ lui a trovare in fretta e furia una destinazione ad Herrera costretto a lasciare l’Atalanta a dicembre del 1996, dopo una stagione e mezza a notevole livello.

 

Nessuna diatriba tecnica né voglia di guadagnare di più, la ragione di un improvviso addio ha solo un nome, proprio quello di Sofia. La bambina ha 3 anni, si ammala di broncopolmonite e fa fatica a riprendersi. Dopo 10 giorni di ospedale i medici non usano giri di parole: il clima non le è propizio. Il padre entra a gamba tesa da par suo e nel giro di poche ore Casal gli trova un ingaggio in Messico, al Cruz Azul. “Vado via con la morte nel cuore, mi spiace lasciare Bergamo e l’Atalanta, ambiente e società in cui mi ero ambientato molto bene e dove contavo di fermarmi e giocare ancora per un po’. Chiedo scusa ma io devo pensare anzitutto a mia figlia. Mi dà fastidio anche il modo con il quale sono stato costretto a prendere questa decisione. Sarebbe stato più giusto ponderarla maggiormente” spiega. Ma a volte la vita è questione di attimi, come una palla da mandare fuori dall’area prima che diventi troppo pericolosa: alla ripresa di gennaio 1997 Herrera non c’era più, dopo 29 partite da titolare nella prima stagione in nerazzurro e 12 su 14 nella seconda.

 

La sua carriera prosegue e finisce in Sudamerica: con gli argentini del Newell’s Old Boys, in quel glorioso Penarol dove ha tirato i primi calci, nel Racing di Montevideo, nei Wanderers, altra squadra della capitale con una piccola parentesi non ben documentata in Indonesia nelle fila del Persib di Bandung. Il Cagliari l’aveva notato nella B spagnola, nel non famosissimo Figueras e portato nell’isola dopo i Mondiali di Italia 90 (dove gioca 3 partite su 3) a fare blocco con i connazionali Francescoli e Fonseca, arrivati rispettivamente dal Marsiglia e dal Nacional, la squadra più importante dell’Uruguay dopo il Penarol. In panchina c’è Claudio Ranieri che nella sua prima esperienza su una piazza importante riesce a riportare i rossoblu in due stagioni dalla C1 alla massima serie: la partenza è pessima ma poi la squadra risale posizioni su posizioni e si salva con 4 punti di vantaggio sulla quartultima, il Lecce. Herrera segna 4 reti e 3 nella stagione successiva: una a Bergamo il 27 ottobre 1991. E’ la prima partita di Carletto Mazzone sulla panchina ospite, in sostituzione dell’esonerato Massimo Giacomini: non passa manco un quarto d’ora che Herrera intercetta un pallone respinto dalla difesa nerazzurra e con un missile terra-aria da fuori area trafigge Ferron.

La salvezza dei rossoblu comincia da quella vittoria 1-0, la stagione dopo si qualificheranno per la Coppa Uefa dove nel 1994 arrivano addirittura in semifinale con l’Inter guidati da quel galantuomo di Bruno Giorgi in panchina, subentrato in corsa a Gigi Radice.

Nell’estate 1995 Herrera lascia l’isola e sbarca a Bergamo alla corte di Mondonico: la squadra è appena tornata in A dopo un campionato al cardiopalma deciso all’ultima giornata nel match con la Salernitana. Insieme a lui arrivano Vieri (che segna le prime 3 reti del campionato nerazzurro), Tovalieri, Luppi, Paganin e Gallo. La squadra si salva comodamente trascinata dalle giocate di Domenico Morfeo ed Herrera diventa quasi imprescindibile, lì sospeso tra il centrocampo e la difesa. Contro l’Inter fa un autogoal ma nel finale ci pensa Morfeo, poi segna la rete del momentaneo pareggio nel match casalingo con la Sampdoria vinto 3-2 con rimonta finale e colpo del ko allo scadere del “cobra” Tovalieri e pure l’ultima della stagione nel 3-0 al derelitto e retrocesso Padova. Che all’andata all’Euganeo ci aveva pure battuto 3-2 con doppietta di Vlaovic e dello sconosciuto (e tale resterà) olandese Van Utrecht, uno subentrato 15 volte su 20 partite giocate. Anche con l’Atalanta, ma tanto gli basta per segnare. Per la cronaca, pare che oggi insegni allo Johann Cruijff Institute for sport studies dove ha conseguito la laurea in Economia e marketing dello sport.

Herrera se ne va da Bergamo appena dopo Natale del 1996: dieci anni dopo un altro suo connazionale fa il suo stesso percorso dalla Sardegna, Nelson Abeijon, che però ha decisamente meno fortuna, solo 5 presenze nell’anno del centenario e del 7° posto con Colantuono. Che all’epoca sembrava il massimo possibile se non sognabile.

 

L’anno dopo torna in Uruguay e chiude la sua carriera al River Plate. L’altro, quello di Montevideo dove - così ad occhio e croce - deve essere concentrato il 99% del calcio del Paese. Nel frattempo Herrera ha attaccato le scarpette al chiodo e Sofia è cresciuta: nel 2018 sposa Diego Godin e nel 2020 dopo la parentesi con l’Inter torna in Sardegna dove è nata. Quando il difensore ex Atletico sbarca all’aeroporto di Elmas con lui c’è Sofia ma anche “Pepe” Herrera. E il cerchio rossoblu si chiude, con qualche sfumatura in nerazzurro.