Atalanta e Parma, che sfida nel 1992 sui colombiani. Qui arriva Valenciano, in Emilia Asprilla... con l’ok di Pablo Escobar

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Tutta colpa di un torneo preolimpico dove quel colombiano sembrava un fenomeno. Ok, magari non aveva proprio il fisico dell’atleta ma una castagna terrificante. E pure quell’altro là davanti non era mica male, non alto nemmeno lui ma che potenza muscolare quel Faustino Asprilla detto “el polpo” per il suo fare un po’ dinoccolato. Franco Previtali, ovvero un pezzo di storia nerazzurra, li osservava da bordo campo: non c’era molto tempo e soprattutto troppi soldi da spendere. Lui quei due li avrebbe comprati entrambi ma alla fine ne poteva prendere uno solo: e la scelta cadde su Ivan René Valenciano, “el gordo” o “Cicciobello” come viene soprannominato praticamente da subito. “E’ uno che in area fa male, mi ricorda Rasmussen…” spiega in un’intervista dell’estate 1992 ad Elio Corbani. Ma subito dopo precisa che “io volevo Valenciano e Asprilla, ma bisognava agire subito”. Ovvero mettere sul tavolo 200mila dollari sull’unghia, “e invece abbiamo tergiversato”. E così Asprilla, inseguito da mezza serie A, finisce al Parma fresco di Coppa Italia. Sono loro due i primi colombiani che vengono a giocare in Italia, uno parecchio, l’altro quasi mai. Uno al Parma e l’altro all’Atalanta, entrambi nazionali olimpici e promesse sicure che il calendario della stagione 1992-93 mette subito l’uno di fronte all’altro alla prima di campionato: Atalanta-Parma 2-1. Valenciano gioca 45 minuti, Asprilla tutto il match, ma le tre reti sono tutte made in Italy: Ganz, Rambaudi, Melli, mica paglia…

Oggi tutti impazziscono per i “cafeteros”, per un Zapata che spacca la porta e un Muriel che entra e fa goal con la regolarità di un metronomo. Magari un po’ meno (eufemismo) per un Moijca che non ha ancora capito che prima o poi il campo finisce in lunghezza e che magari correre non basta, ma l’epopea colombiana è iniziata proprio in quel 1992 tra Parma e Bergamo.

 

E se dopo, oltre ai vari Zapata (ne sono sbarcati tre, compreso un cugino di Duvan), è arrivata gente come Cordoba, Rincon, Murillo, Zuniga, Guarin, Ibarbo, Guerrero, Armero, Cuadrado e Yepes (visto anche in maglia nerazzurra e adorato dal gentil sesso), tutto è cominciato da quei due ragazzetti, primi esponenti di un calcio che all’epoca stava guadagnando credito e che gli italiani cominciano a conoscere nel 1989 quando a Tokio il Nacional di Medellin perde all’ultimo minuto dei supplementari la Coppa Intercontinentale con il Milan di Sacchi. Sulla panchina colombiana c’è il santone Francisco Maturana che qualche anno dopo boccia senza appello l’arrivo di Valenciano in Italia: “Troppo lento”. E aveva assolutamente ragione.

 

Fino a quel momento il calcio sudamericano è una storia appannaggio di Brasile, Argentina e Uruguay, con incursioni cilene ai Mondiali del 1974 (qualificazione arrivata per il rifiuto dell’Urss di giocare a Santiago) e soprattutto peruviane nei due successivi. Per ricordare l’esistenza in vita, calcisticamente parlando, dell’Uruguay nel 1980 viene pure organizzato uno strano torneo a Montevideo, il Mundialito. Ci partecipano tutte le nazionali che hanno vinto un Mondiale, anzi no perché ovviamente l’Inghilterra non ci pensa proprio e al suo posto viene scelta l’Olanda, l’eterna perdente. Altrettanto ovviamente vince l’Uruguay a suon di calcioni e in un clima vagamente intimidatorio dentro e fuori dagli spalti. La Colombia compare ai Mondiali di Italia 90, quelli delle notti magiche: è la sua seconda presenza dopo il debutto del 1962 e in panchina c’è proprio Maturana che si porta dietro mezzo Nacional, compreso quel matto di René Higuita in porta, ma la stella è Carlos Valderrama, gioca in Francia nel Montpellier ed è conciato come un Gullit con la zazzera bionda. Purtroppo per i colombiani le similitudini con l’olandese finiscono qui, anche se ai Mondiali arrivano comunque agli ottavi, poi Higuita in versione libero pensa bene di scartare il camerunense Milla a centrocampo e quello finisce in porta con la palla: Camerun-Colombia 2-1, hasta la vista.

E’ in questo contesto che matura la fascinazione colombiana, quella nazionale in maglia gialla sembra la nuova frontiera, Sacchi stesso ha parole d’ammirazione per il Nacional e Maturana e tutti cominciano a guardare tra Cali e Medellin alla ricerca di giovani promesse. L’Atalanta la trova a Barranquilla, dove nell’Atletico Junior c’è quel Valenciano che a nemmeno 20 anni ha fatto 44 goal in 96 partite. Asprilla gioca invece nel Nacional di Medellin, ma nella finale di Tokio non c’era ancora, stava nel Deportivo Cucuta.

 

Il proprietario della squadra era però già Pablo Escobar, il narcotrafficante più famoso del mondo: è da lui che arriva l’ok alla cessione del giocatore al Parma. Piccolo particolare, arriva da “La Catedral”, il carcere superlusso e autogestito (dai Narcos medesimi) dove starebbe scontando una delle sue innumerevoli condanne: viste le circostanze si capisce meglio qualche esitazione dell’Atalanta nelle trattative.

 

Sia Asprilla che Valenciano vengono acquistati a primavera del 1992, sulla scorta delle loro notevoli prestazioni nel torneo preolimpico che qualifica la Colombia ai giochi di Barcellona. Sono entrambi piccolini (un metro e 76), ma il primo ha una notevole muscolatura, il secondo un tiro terrificante. Sulla panchina dell’Atalanta c’è Bruno Giorgi che però a fine stagione passa la mano a Marcello Lippi: uno che al primo colloquio con Valenciano gli fa capire che lui non l’avrebbe mai preso. A ragione, considerato che il tipo è meno veloce di una lumaca lenta. A supporto delle perplessità del futuro campione del mondo c’è l’esordio a Barcellona 1992 nel match con la Spagna: finisce 4-0 per gli iberici e Valenciano viene espulso praticamente subito. Poco male, può venire subito in ritiro con i nerazzurri, è la considerazione di tutti: l’Atalanta è passata dal trio Stromberg-Caniggia-Bianchezi al poker Alemao-Rodriguez-Valenciano-Montero e le perplessità non mancano. A scanso di equivoci la società porta a casa anche Rambaudi e Ganz: si riveleranno decisivi.

In realtà il nostro parte pure bene e, al netto di una certa qual stanzialità in campo, al debutto casalingo in Coppa Italia con il Venezia segna la rete del momentaneo vantaggio appena entrato nella ripresa: finisce però 1-1 perché ad un quarto d’ora dalla fine pareggia Bonaldi. In realtà finisce pure peggio perché Rambaudi ha una giornata da scontare in Coppa Italia e la società non lo sa: il giudice sportivo decide così per lo 0-2 a tavolino. Di fatto quella rete del colombiano non esiste negli annali e considerato che sarebbe la sola in maglia nerazzurra, beh, sa tanto di segno del destino…

Al ritorno in laguna Valenciano è titolare ma non se ne accorge nessuno, l’Atalanta ribalta il risultato e nei supplementari è ancora Bonaldi a segnare la rete decisiva, quella che ci elimina al primo turno. Quattro giorni dopo c’è il debutto in campionato: è il 6 settembre e a Bergamo arriva il Parma fresco di Coppa Italia. Gran bella squadra, con in porta il brasiliano Taffarel, Benarrivo, Minotti, il belga Grun, Melli e il “sindaco” Osio. Nevio Scala manda in campo anche Asprilla e i due colombiani si ritrovano l’uno di fronte all’altro visto che pure Valenciano parte titolare. Ma sarà la prima e unica volta. All’intervallo resta negli spogliatoi dopo essersi divorato pure un goal: “Deve ancora mangiarne di polenta” è la sentenza di un anonimo dirigente nerazzurro.

Il problema è che non mangerà solo quella, ma pure cioccolato e spaghetti in abbondanza, per non parlare dei litri di Coca Cola ingurgitati con una certa qual nonchalance. Abita in un appartamento di Colognola con numerosi parenti al seguito che cercano di piazzare a chiunque (postini compresi) autografi del campeon: colleziona altre 4 presenze in campionato, tutte da subentrante e a fine stagione se ne torna in Colombia dove riprende a segnare una caterva di reti in 15 squadre diverse, alcune abbastanza sconosciute. Per la cronaca, profilo Twitter alla mano, è più in forma ora che allora.

 

Asprilla invece lascia il segno, eccome, in campo e fuori dal campo: in 4 stagioni con i ducali segna 25 reti e conquista la Coppa delle Coppe. Da non giocatore, visto che dopo aver realizzato una doppietta all’Atletico Madrid in semifinale pensa bene di fratturarsi il piede. Ma non in uno scontro di gioco, bensì prendendo a calci un autobus (e il suo autista) in Colombia causa differenti visioni in materia di viabilità. Lui comunque la prende benissimo e si fa beccare a scorrazzare a Parma in motorino con stampella e piedone ingessato. Recupera in tempo per la finale di Wembley ma Scala lo lascia in panchina per punizione.

A proposito di doppiette, ne fa una anche nello storico 5-0 a Buenos Aires che qualifica direttamente la Colombia ai Mondiali di Usa 94 e costringe l’Argentina allo spareggio, poi vinto, con l’Australia. La più grande impresa del calcio colombiano. A Parma Asprilla vince anche una coppa Uefa e una Supercoppa europea, ma diventa completamente ingestibile: casa sua è un crocevia di feste senza regole, tra alcol a fiumi, musica e sesso sfrenato. Viene beccato spesso in compagnia di una pornostar e in comportamenti ben oltre il limite, ma fondamentalmente è un buono: tra i suoi primi acquisti in Emilia si segnalano 1.000 rubinetti che spedisce ai suoi familiari in Colombia.

 

Nel 1996 il Parma lo cede agli inglesi del Newcastle, ma in prima battuta non passa le visite mediche: si scoprirà più tardi che non era proprio pulitissimo. Il Nord dell’Inghilterra è un posto talmente triste e piovoso da far sembrare la pianura padana una sorta di Copacabana: Asprilla si trova malissimo, anche se la squadra vola e sembra vicina a riportare al St James Park un titolo che mancava da 70 anni (e che continua a mancare, detto per inciso), ma finisce male per due campionati di seguito con due secondi posti beffardi. Il colombiano è ricordato solo per una partita incredibile di Champions dove rifila 3 reti al Barcellona di Rivaldo: il problema è che ci arriva a filo del fischio d’inizio perché impegnato in attività parallele con una delle sue tante fiamme. Quell’autentica leggenda di Kenny Dalglish prima lo attacca al muro, poi lo scaraventa in campo e lui dà spettacolo mettendo in dubbio qualche radicata certezza sulla vita da atleta. Dopo due stagioni torna al Parma ma ormai è più l’incubo degli allenatori (Malesani su tutti) che dei difensori: fa solo un goal e nel 1999 torna in Sudamerica. Nel frattempo viene escluso dalla nazionale a Francia 1998 per aver criticato in modo diciamo un po’ colorito l’allora ct Gomez. Dieci anni dopo viene pure arrestato in Colombia perché sorpreso ad imbracciare una mitraglietta, cosa abbastanza comune a quelle latitudini. Una vita senza regole, in un calcio che sembra lontano anni luce e che ora vede nel paese sudamericano un’autentica fucina di talenti. Ma tutto è cominciato ormai 29 anni fa, con “el polpo” ed “el gordo”.