L’Atalanta e quando Pizzaballa, nel 1977, fermò la Juventus da solo (e dire che si era già dichiarato in pensione, o quasi)

storia.

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Era novembre pure quella domenica, perché in quel calcio quasi in bianco e nero si giocava solo il settimo giorno. Altro che anticipi, posticipi, spezzatini, match prandiali o monday night, anche perché il lunedì sera, a memoria, doveva essere televisivamente dedicato al film su Rai Uno. Era il 6 novembre 1977 per la precisione e l’Atalanta era attesa a Torino al cospetto della “Vecchia signora”, quella Juventus campione in carica dopo aver conquistato 51 punti dei 60 disponibili la stagione prima e staccando i concittadini granata di uno, uno soltanto. Pochi mesi prima avevano pure conquistato il primo trofeo europeo della loro storia dopo aver perso le finali di Coppa delle Fiere del 1965 e 1971, rispettivamente con il Ferencvaros e Leeds, e soprattutto quella di Coppa dei Campioni del 1973, l’ultimo atto dell’invincibile Ajax di Cruijff e la prima di 7 sconfitte bianconere. La sezione europea della bacheca della Juve comincia con una Coppa Uefa vinta nell’inferno basco del San Mames di Bilbao, non l’attuale versione elegante e moderna, ma quella con le tribune a picco sul campo e un pubblico che definire bollente è assolutamente riduttivo. E’ il 18 maggio del 1977 e il trofeo arriva pochi giorni prima dello scudetto numero 17, conquistato mandando la Sampdoria in B a domicilio in quel di Marassi e dopo avere piegato la Roma nel turno precedente. Dopo il pareggio 1-1 nel derby con il Torino alla giornata numero 8 i bianconeri vincono 6 delle 7 partite successive e piazzano l’allungo decisivo.

In quelle stesse giornate del maggio 1977 l’Atalanta è in tutt’altre faccende affaccendata: se ne sta nei quartieri alti della serie B a cercare il ritorno nella massima serie, tra una vittoria casalinga col Palermo e un pareggio in quel di Ferrara che le consente di agganciare al secondo posto il Lanerossi Vicenza sconfitto nel big match di Pescara. L’epilogo è cosa nota, un’ultima giornata da infarto, gli spareggi e il ritorno in A dopo 4 anni. Ma in quella stagione tra i cadetti c’è un momento-chiave che avrà riflessi anche sulla successiva partita del campionato di A con la Juventus e capita nel girone d’andata, tra le trasferte di San Benedetto del Tronto e Palermo e il match casalingo con la Spal. Al vecchio “Ballarin” della cittadina marchigiana, uno degli stadi più intimidatori dell’epoca, si fa male il portiere Cipollini: gli subentra Meraviglia, bergamasco di Verdello, tornato all’ovile il campionato prima dopo una lunghissima esperienza (pure in A) con il Lecco.

Siamo a fine dicembre 1976 e in rosa ci sarebbe anche un terzo portiere, tal Bertuzzi che compare nelle foto del raduno estivo insieme a Cipollini e Meraviglia: l’Eco lo definisce “un giovane ancora tutto da scoprire per noi che non l’abbiamo mai visto ma che pare abbia entusiasmato gli osservatori atalantini”. Peccato però che si sia fatto male persino prima di Cipollini: la società si guarda intorno e decide allora di tesserare Pierluigi Pizzaballa, anni 37 compiuti da non molto, vincitore della Coppa Italia del 1963, bergamasco doc, una leggenda. Ci sarebbe solo un piccolo problemino: tecnicamente avrebbe attaccato i guantoni al chiodo da qualche mese dopo l’ultima stagione in panchina al Milan come riserva di Albertosi, tra l’altro suo coetaneo. Quindi potrebbe essere un filo arrugginito.

 

I nerazzurri volevano ingaggiarlo già la stagione prima, ma di fronte al diniego rossonero avevano ripiegato su Meraviglia. “Pizzaballa non si pone problemi di carriera, per cui non può creare preoccupazioni per nessuno, nemmeno a livello psicologico” scrive Elio Corbani. In realtà Meraviglia non la prende bene, soprattutto quando dopo la sconfitta a Palermo perde il posto di titolare. Non la prende probabilmente benissimo nemmeno Bertuzzi che di fatto non è in forma dopo l’infortunio e quindi “sul piano della condizione è più o meno all’altezza di Pizzaballa del quale però non possiede esperienza e mestiere” spiega ancora Corbani. La prende malissimo Cipollini che dopo un mese dal ko torna disponibile ma non rivede più la porta per tutta la stagione, anche perché Pizzaballa parte in modo incerto, poi tira su la saracinesca e trascina i nerazzurri in serie A. A fine campionato Cipollini se ne va all’Inter a fare la riserva di Bordon.

 

Pizzaballa invece si ritrova in panchina all’inizio della stagione 1977-78 perché Titta Rota decide di puntare su un giovane cresciuto nel vivaio: si chiama Luciano Bodini e ha appena portato in B una Cremonese allenata da una vecchia gloria nerazzurra, Stefano Angeleri, dove ha giocato con gente come Emiliano Mondonico, Giancarlo Finardi e Cesare Prandelli. Esordisce in serie A contro il Perugia l’11 settembre parando un rigore al povero Renato Curi, tanto per far capire di che pasta è fatto. Nelle successive giornate difende la porta alla grande: l’Atalanta cade solo alla giornata numero 6 contro il Vicenza, quando l’Italia scopre Paolo Rossi che realizza due reti. Particolare curioso, in quella partita ci sono ben 3 doppiette, Rossi e Guidetti per i veneti, Rocca per i nerazzurri. La giornata dopo si va a Torino sul campo della Juventus, dove l’Atalanta manca dal dicembre 1972, quando la partita era finita a reti inviolate: i bianconeri si preparano giocando a tiro a segno in Coppa Campioni con gli irlandesi del Glentoran che tornano a Belfast con 5 pere (a zero) nel carniere.

Radiomercato dice che Bodini è già destinato ad affiancare la stagione dopo l’immarcescibile (solo poi si scoprirà davvero quanto…) Zoff per prenderne successivamente il posto. A Torino c’è molta curiosità di vedere in azione il 23enne portiere e viste le bocche di fuoco bianconere le occasioni non dovrebbero mancare: al Comunale nei turni precedenti il Foggia ha preso 6 reti e la Fiorentina 5, per capirci. Ma al fischio d’inizio, sorpresa, Bodini è in panchina, ufficialmente ko per un colpo di freddo, ma Corbani non esclude “un malanno forse diplomatico”. Paolo Arzano invece è più sottile, ma solo all’apparenza: “Certo Rota non ha voluto esporre il giovane e valido portiere in un incontro tanto difficile proprio al cospetto di una Juve che segue da vicino il giocatore”. In campo torna così Pizzaballa che non gioca una partita dallo spareggio di luglio a Bologna col Pescara. Dopo 3 minuti e 24 secondi sta già raccogliendo la palla che Benetti ha scagliato in rete dal limite. Sembra l’inizio di una Caporetto e invece è quello di un assedio rotto solo dal pareggio di Libera su una mezza papera di Zoff.

 

Pizzaballa comincia a ribattere colpo su colpo: due tiri di Benetti, un colpo di testa di Bettega, uno di Tardelli, uno di Virdis, due occasioni di Causio, un’altra di Tardelli e due di Gentile. Una cosa mai vista, il portiere che para tutto e in tutti i modi e 10 compagni a supporto. Anzi, 9 perché a fine primo tempo Mastropasqua prende il secondo giallo e torna anzitempo negli spogliatoi. Anzi, 8 perché a un quarto d’ora dalla fine a Vavassori salta la mosca al naso e dopo un fallo non rilevato insulta arbitro e guardalinee in tandem beccando un rosso diretto. Dopo quasi 3 minuti di recupero arriva il fischio finale, con tutti i nerazzurri intorno a Pizzaballa che viene portato a braccia negli spogliatoi. “Credo di avere disputato una buona partita” il suo commento all’insegna del minimalismo più totale, anche se incalzato da Giancarlo Gnecchi ammette che “bloccare così la Juventus… C’è veramente da ubriacarsi anche se sono astemio”. E il giorno dopo l’impresa spiega candidamente che “del resto un portiere in porta ci sta per parare, altrimenti può andare a fare qualsiasi altro mestiere”.

Ma dall’alto dei suoi 37 anni spiega anche di “non ritenersi pago perché alla mia età ho ancora molto da imparare e finché il fisico regge cerco di migliorarmi sempre di più”. Reggerà per quasi tutta la stagione 1977-78 perché la domenica dopo è ancora lui il titolare nel pari interno con Genoa: qualche giorno dopo Bodini si frattura il dito e torna in campo solo alla penultima, sempre a Torino ma contro i granata. L’ultima partita con l’Atalanta, e sostanzialmente della carriera, Pizzaballa la gioca ancora subentrando a Bodini la stagione dopo al 16° del match perso a Perugia 2-0 l’11 marzo 1979 quando il titolare viene centrato da un sasso scagliato dagli spalti nel punto dove ci sarebbe la tifoseria nerazzurra e deve abbandonare il campo. Curiosamente la penultima segue lo stesso copione e per giunta in quel di Torino contro i granata che dilagano 3-0. Ma nel cuore di tutti i nerazzurri Pizzaballa resta l’eroe di quella domenica di novembre del 1977 quando era riuscito da solo a fermare la Juventus, e un po’ anche il tempo.