A nzitutto, dispiace. E certamente sarà dispiaciuto a chi ha dovuto prendere questa decisione, che è una mazzata pesante - la terza nel giro di un anno solare esatto - sulla testa di un professionista. Alle 17.08 di ieri Ivan Juric si è tolto la tuta dell’Atalanta, «sollevato» dall’incarico. Dispiace, perché Juric in questi mesi di lavoro ha certamente dato tutto, anche se quel tutto non era abbastanza per tenere l’Atalanta ai livelli che si è conquistata nel tempo, e che sarebbero giustificati dagli investimenti estivi e dal livello di competitività della rosa. Juric con il lavoro e con la sua schiettezza ha innegabilmente superato il muro della diffidenza con cui era stato accolto da tantissimi tifosi. Soprattutto dopo le vittorie su Lecce e Torino, quella in casa col Bruges e quell’esultanza sotto la curva, quella frase colorita con cui ha rotto almeno in parte il protocollo delle conferenze stampa, mostrando uno Juric vecchia maniera, pochi peli sulla lingua e parecchia energia verbale, quello che i bergamaschi immaginavano sarebbe arrivato qui. Poco standing, parecchia sintesi. Quindi sì, dispiace per l’uomo. Ma dispiace anche per l’Atalanta, che non merita un’involuzione tanto drastica, tecnica e di risultati. Diamo per fatti, scritti, letti e approvati a larga maggioranza tutti i confronti possibili con l’era Gasperini. Sappiamo da dove veniamo. E sappiamo che la scelta di Juric è stata fatta - certo, non senza rischi dati i recenti insuccessi - nel nome di una sola parola: continuità. Le alternative «rivoluzionarie» in estate c’erano, ma s’è scelto di restare sul binario tracciato, che d’altra parte partiva da Bergamo e dopo un lungo peregrinare per l’Europa era approdato a Dublino. Juric si porta dietro - e forse per lui può anche essere un peso - l’etichetta di «allievo di Gasperini». Anche per questo i confronti sono stati ovvii, continui e purtroppo impietosi. Gasperini era gioco verticale, Juric è stato quasi sempre gioco orizzontale.