Il prof. Caudano, i cambi col Milan e quel ricordo lontano di Arianna: un sogno che chiedeva solo un po’ di coraggio

storia. Atalanta, il nuovo racconto di Stefano Corsi

Lettura 3 min.

C he anno sarà stato? Il secondo o il terzo di università. Il pomeriggio è autunnale e uggioso. Piove distesamente sulla Langa già spogliata dalla vendemmia. Il ricordo ha le sue ragioni. Calcistiche, a dire il vero. Annidate in quel finale di Atalanta - Milan che al professor Caudano non è andato tanto giù. Arianna era una ragazza seria e molto carina, ma non di quelle bellezze che colpiscono e provocano stragi, in una facoltà. Oltretutto di Lettere, quindi con agguerrita e numerosa concorrenza. Arianna aveva riccioli e occhi scuri, un volto delicato e una volontà di ferro dentro un corpo lungo e magro. Si favoleggiava del suo libretto irto di voti intorno al trenta. Dicevano fosse di famiglia ebrea. Con il solito pregiudizio secondo cui gli ebrei sono il popolo più intelligente della terra. A Elvio non era mai importato nulla, di Arianna. E tanto meno della sua origine. I compagni maschi, pochi, non osavano corteggiarla. Una volta, uno, Ettore, piuttosto disinvolto con le ragazze, aveva teorizzato le ragioni della sua rinuncia: “Arianna? Troppo in alto, come la mela di Saffo, che nessuno arriva a cogliere”. Elvio la stimava, ma da lontano, come si conviene ai timidi. Forse, era il suo omologo al maschile. Sì, erano probabilmente il più bravo e la più brava del loro anno. Ma questo, più che avvicinarli, li divideva, non perché si traducesse in rivalità. Semmai, in rispetto.