R icordo d’infanzia che lo sorprende al mattino di una giornata e che lascerà traccia di sé fino a notte, e nel sogno. Suo nonno che, a un certo punto, gli diceva senza ammettere repliche: “Metti le canzoni”. Frase secca che lui bambino intendeva perfettamente, sicché si alzava dai giochi sul pavimento, le adorate macchinine, correva alla radio e con la manina sicura cambiava stazione. Nessuno sapeva come lo avesse imparato, ma sapeva azzeccare con istinto sicuro un’emittente privata che trasmetteva solo e sempre canzoni, intervallate da brevi pubblicità a ogni mezz’ora, la ferramenta del centro, la pettinatrice di periferia, un gommista vicino a casa. Il piccolo Elvio capiva anche quando l’ordine del nonno stava per arrivare: quando il giornale radio esagerava e riversava troppo male nella grande cucina. La nonna era uscita per le spese. Il nonno pareva sonnecchiare sulla poltrona nell’angolo, ma se le notizie negative erano troppe e assediavano la sua mente, il Vietnam, le tensione Usa - Urss e soprattutto gli ammazzamenti nostrani di gente per bene, giornalisti, sindacalisti, giudici o professori universitari finiti da terroristi giovani e barbuti per strada, in facoltà, sul portone di casa, allora, puntuale, gli ingiungeva il suo “metti le canzoni”, che non ammetteva repliche. E al posto di quelle parole dolenti, di quegli echi di un mondo malato, arrivavano Baglioni e Battisti, i Santo California e La bottega dell’arte, Guccini e De André, i Beatles o i Rolling Stones. Radio Jesi International era democratica e trasmetteva musica leggera di ogni genere. Il nonno, pur di non ascoltare altre notizie tragiche o preoccupanti, si faceva onnivoro, trangugiava di tutto e pian piano si assopiva.