Ogni partita, una storia. Gian Pietro Marchetti, dall’Atalanta alla Juve e ritorno... «per ritrovare i veri valori»

storia. La storia di Dino Nikpalj

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O capitano, mio capitano. Juventus-Atalanta non può che essere la partita di Gian Pietro Marchetti, classe 1948, fiero condottiero dell’Atalanta della seconda metà degli anni ’70. Era lui che portava la fascia bianca al braccio nello spareggio di Genova 1977 contro il Cagliari, una bandiera e anche un simbolo di un calcio serio e professionale, magari essenziale nei modi, ma che ci manca parecchio soprattutto davanti a certe baracconate dei tempi nostri. Bresciano di Rudiano, località a tanto così dalle bergamasche Calcio e Pumenengo, dall’altro lato dell’Oglio. Ma anche (o soprattutto…) patria di una linea sportiva che ai tempi andava per la maggiore, la mitica Tepa Sport. Alzi la mano chi non ha mai avuto una tuta o un paio di scarpe con la caratteristica “V” di vittoria che – vabbè – un po’ rimandava al Brescia, ma all’epoca chi ci pensava? Ora si direbbe un brand iconico, ai tempi era una fabbrica a km praticamente zero, anzi tre ai tempi d’oro che lavoravano (cit. Wikipedia) 10mila paia di scarpe al giorno. Marchetti inizia a tirare i primi calci in paese e poi a Chiari dove viene notato da un personaggio-chiave della storia dell’Atalanta, Giuseppe Brolis. Giocatore, allenatore (e anche entrambe le cose) e presidente del Verdello dove ha scoperto giocatori come Pizzaballa, Meraviglia e Domenghini, poi dal 1961 all’Atalanta, primo dirigente assunto a tempo indeterminato con il compito di strutturare il settore giovanile. Infinita la lista dei giocatori che ha scoperto, uno su tutti Gaetano Scirea, parte fondamentale di questa storia.