N ella giornata prima della sosta la Lazio si è salvata in pieno recupero. Intorno al 104° o su di lì, con un rigore del “cavallo di ritorno” Cataldi, decisamente glaciale nel mettere in rete un pallone del 3-3 che pesava tonnellate. Per giunta all’Olimpico sotto una curva Nord agitata e con alle spalle quelli del Toro oltre il furibondo per il dietrofront dell’arbitro che in prima battuta non ha concesso il tiro dagli 11 metri. Dopo 6 giornate la Lazio ha solo 7 punti, staziona nella parte destra della classifica, la scorsa stagione non si è qualificata per le coppe europee (manco per la tanto sbertucciata Conference vinta dall’odiata Roma) e i rapporti con la presidenza Lotito sono a meno del minimo sindacale con una marcata tendenza al ribasso costante. Potrebbe andare peggio? Certo che sì, ed è successo più e più volte. Per esempio una quarantina d’anni fa con una retrocessione in B, vicenda in cui l’Atalanta ha fatto il suo. Un passo indietro per inquadrare meglio il protagonista assoluto di questa storia dal lato nerazzurro: si chiama Marco Pacione, è di Cepagatti provincia di Pescara. Cresce nelle primavera atalantina, un discreto corazziere che vede molto bene la porta. Classe 1963, entra nel giro della prima squadra nella stagione 1982-83 con l’Atalanta di Ottavio Bianchi fresca di ritorno in B. E che di attaccanti in rosa ne avrebbe, eccome: su tutti Lino Mutti, trascinatore a suon di goal nel campionato di C1 vinto, ma anche la vecchia gloria Beppe Savoldi tornato a Bergamo a sparare le ultime cartucce, più un giovane pescato dal Montebelluna dove in tre stagioni tra D e C2 ha segnato 40 reti. Si chiama Maurizio Sandri e ha 23 anni. Bel laboratorio quello della squadra trevigiana, ci hanno giocato anche Magrin e Foscarini, protagonisti della risalita in B.