Come si spiega l’Atalanta/7 Le plusvalenze: vendere per crescere. Le cifre e i nomi di un tesoro da 230 milioni

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N ell’immaginario collettivo il termine plusvalenze è visto come una sorta di magheggio contabile di cui si avvalgono molte società per incrementare artificiosamente i loro ricavi. Così facendo riescono a diminuire sensibilmente la perdita di esercizio, evitando l’erosione del patrimonio netto e di conseguenza scongiurano gli aumenti di capitale che in molti casi si renderebbero necessari senza plusvalenze.

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Plusvalenze di questo genere si realizzano quando due club si scambiano giocatori indicando un prezzo identico o simile – così da non dover effettuare movimenti di denaro – decisamente sovrastimato rispetto al loro valore di mercato. Per esempio la Juventus acquistò Arthur dal Barcellona per 72 milioni di euro, vendendo nel contempo Pjanic per 63 milioni di euro. Tutto ciò però ha anche conseguenze negative perché il club bianconero si è trovato a bilancio il brasiliano per 72 milioni e ciò significa un costo per annata, pari all’ammortamento, di 16 milioni di euro, mica bruscolini. Questa cattiva pratica non è abitudine dell’Atalanta, complici gli utili che riesce a mietere con operazioni reali. Non a caso tra gli 11 club deferiti dalla Procura Figc ad aprile (anche se poi assolti per l’impossibilità di dare una valutazione oggettiva ai giocatori) non c’era il club bergamasco.