Atalanta, alla base c’è l’intensità: se c’è si fanno imprese, se manca... vince il Lecce. La nota lieta? Vorlicky

commento. L’editoriale post partita

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I n fondo a questo mezzogiorno balordo, si potrebbero scrivere le stesse, identiche cose scritte dopo il fantastico sabato notte dell’Olimpico: il segreto dell’Atalanta è l’intensità, la velocità, la qualità tecnica. Quando ci sono, l’Atalanta diventa capace di battere forse chiunque. Quando non ci sono, l’Atalanta le può prendere anche da un Lecce non qualsiasi, ma certamente non fatto di campioni. Ma se il Lecce diventa più intenso, più «cattivo», più preciso, allora può anche vincere al Gewiss. Certo anche con qualche arma «sporca», certo esagerando fino a diventare irritante con le perdite di tempo, ma queste sono le armi delle piccole, e non è il caso di attaccarsi a questo per spiegare la sconfitta. Perché la sconfitta è figlia della prestazione, della differenza enorme di qualità tra questa, brutta, e la precedente, splendida. Il succo è tutto qui. Poi, certo, ci sono anche i dettagli, e sono quelli su cui proviamo a ragionare ora.

1. L’intensità, appunto

Gasperini si è tolto la giacca, scocciato, ancor prima del gol del vantaggio leccese. Perché fin dai primi tocchi era parso evidente che l’interruttore, stavolta, era rimasto spento. Il difficile è capire perché. La vittoria sulla Lazio avrebbe dovuto caricare le batterie, anziché vuotarle. Avrebbe dovuto lanciare la squadra, anziché frenarla. Affamarla, anziché saziarla. Ma questi sono meccanismi teorici, non automatici perché le squadre di calcio sono fatte di uomini e non di robot, e gli uomini rispondono a dinamiche spesso imprevedibili.