Notte di sogni, di coppe e di campioni. Buona finale, forza Atalanta

commento. Il prepartita di Roberto Belingheri

Lettura 1 min.

La premessa è una, doverosa: la Uefa, scegliendo Dublino per questa finale, ha commesso un errore macroscopico. Perché vanno bene gli sponsor e il loro potere decisionale, va bene qualsiasi ragionamento anche fondato sul solo business. Ma una città che ospiti una finale continentale dovrebbe quantomeno rispettare determinati requisiti. Essere raggiungibile non con il solo mezzo aereo, per esempio. E comunque essere dotata di aeroporti che siano in grado di accogliere qualche decina di voli in più rispetto al loro orario ordinario. La scelta di Dublino ha creato enormi problemi alle due tifoserie. Ma soprattutto a quella atalantina, che non ha potuto appoggiarsi sulla sconfinata flotta Lufthansa (274 gli aeroplani in flotta, 710 includendo le controllate) per volare in Irlanda, come invece potranno fare i tifosi del Bayer. Sede sfortunata: tra le sedi delle finali di EL degli ultimi 20 anni soltanto Glasgow, Manchester e di nuovo Dublino (più Baku, ma per un solo tema di distanza) avevano presentato il medesimo problema logistico. Pazienza: i bergamaschi sono abituati a essere in minoranza, dentro gli stadi e non solo. Certo è che peggio di così, forse, sarebbe andata solo con Reykjavík, Islanda, scelta come sede. La premessa era doverosa, perché il calcio dev’essere passione, e soffocarla con scelte scellerate come queste è un vero peccato.

Detto questo, i bergamaschi la vivranno comunque con tutto il cuore possibile. Il cuore che li ha portati, in questi anni, in gran numero sui campi di mezza Europa, e che li ha portati in 23 a Salerno per una partita contro l’ultima in classifica, già retrocessa. Quei 23 di Salerno, o i 43 di Lecce, sono davvero il simbolo di quanto questa terra e questa squadra siano legate indissolubilmente. E lo stesso vale per chi sfiderà la primavera piovosa per condividere i 90 minuti con altri tifosi davanti a un maxischermo, o per chi si isolerà in una stanza con una familiare di Peroni, a soffrire davanti alla tv.

L’Atalanta ci ha portati fin qui e riavvolgendo il nastro sembra di parlare di una stagione fa. Muriel che segna al Graz, Bonfanti in Polonia, l’andirivieni da Lisbona, la bolgia di Marsiglia. E soprattutto la partita che più di tutte - speriamo superata da questa finale - resterà nel cuore e nella memoria di tutti: Anfield, basta la parola. Dentro ogni notte, dentro ogni viaggio, centinaia e migliaia di volti sorridenti, felici per una vittoria, pronti ad applaudire comunque in caso di sconfitta. In campo un allenatore visionario che non conosce sfide senza limiti, giocatori che portano il loro rendimento oltre ogni logica aspettativa. E una passione che unisce tutti, chi c’era a Sant’Angelo Lodigiano e chi si è unito ora al gruppo, scoprendo quant’è bello voler bene all’Atalanta. Poi, stanotte vada come vada. Il vero trofeo è uno e uno solo. Si chiama Atalanta.