Atalanta, l’addio di Congerton e quella garanzia per il futuro (chiunque arrivi, o no): la filosofia che finanzia la crescita

commento. Il commento di Roberto Belingheri

Lettura 2 min.

L a voce girava, sottotraccia, da mesi. Prima il ritorno in Inghilterra, più di recente le sirene arabe. Lee Congerton era arrivato all’Atalanta in punta di piedi, due anni fa. E in punta di piedi, con uno stile molto british e dispensando ringraziamenti, lascia oggi, prendendo un volo per Gedda, Arabia Saudita. Il calcio dei petroldollari, dopo aver razziato campioni o presunti tali, sceglie di darsi anche una struttura prima che sia troppo tardi. E Congerton è una scelta di prospettiva, evidentemente, per un calcio che dopo pochi mesi dal boom prospettive sembrava averne ormai poche, date le voci che danno diversi calciatori parecchio invogliati dal biglietto di ritorno nel calcio vero. Ma qui interessa ragionare di Atalanta, e di quel che resta, e certo non di quel che accade tra palme, cammelli e depositi di denaro. Congerton è stata una figura «in filigrana», in questi due anni in nerazzurro. Arrivato dal Leicester, fu il primo segnale di cambiamento pochi giorni dopo la «rivoluzione americana», con la maggioranza del controllo azionario dell’Atalanta che il 19 febbraio 2022 passò dalla famiglia Percassi a Steve Pagliuca. Sedici giorni dopo, il 7 marzo, si annunciò l’arrivo di Lee Congerton. Una sola conferenza stampa - quella di presentazione, in estate, con Tony D’Amico - in due anni sono quasi un record, ma quel che si può dire è che Congerton ha di certo parlato coi fatti, in primis con l’acquisto di Lookman, assoluta farina del suo sacco, poi con quello di Hojlund, rivenduto un anno dopo a peso di decine e decine di milioni, sempre in Premier.