L’Atalanta è ottava, l’Europa si allontana. L’incomprensibile leggerezza in campionato, e i rischi del pugno di mosche

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C osì diventa proprio dura, durissima. Così si rischia di far diventare inutili persino i teorici tre punti del recupero contro il Torino. Perché è umano pagare un conto all’Europa, alla fatica, allo stress, al logorio di tantissime partite giocate. Però è abbastanza incredibile vedere una squadra che, anche a Reggio Emilia come contro il Napoli, comincia la partita meglio dell’avversario, si capisce che vorrebbe provarci e crederci, mentre poi al primo errore - grave - prende gol e addio, la luce si spegne, la partita si perde. Come se il campionato, ormai, nell’inconscio della squadra non contasse più. Il rischio è che di sconfitta in sconfitta, di partita mal giocata in partita mal giocata, si rischia di prenderne coscienza come un fatto ineludibile: il rischio che l’Atalanta finisca fuori da qualsiasi competizione europea è ormai concreto, e va detto. Insieme alle altre cose da dire dopo la fine di questo prologo.

1. L’atteggiamento

Quello di cui proprio non ci si capacita è l’atteggiamento della squadra in campionato. Questa mancanza di intensità, di ritmo, di velocità che subentra alla prima difficoltà. Fino al gol annullato a Berardi, l’Atalanta era stata quantomeno alla pari con il Sassuolo, se non meglio. La palla girava discretamente, la sensazione del gol era dietro l’angolo. E difatti Pasalic ha centrato una traversa abbastanza clamorosa. Poi il gol annullato, campanello d’allarme. E subito dopo, il crollo della diga: palla persa da calcio d’angolo e incredibile contropiede vincente. Da lì, il nulla cosmico, l’incapacità di riorganizzare le idee, di alzare ritmo e qualità, di aprire la difesa del Sassuolo, abilissimo a chiudersi e ripartire a molla. Difatti è da un’altra palla persa che è ripartita la squadra di Dionisi (ma che bravo...) per segnare il 2-0. E un’altra fotocopia è stata l’azione che ha portato al palo di Defrel.