M ettiamola così. Il primo tempo è stato un tracollo, nel segno della continuità col recente passato. Ma il secondo sarebbe anche potuto essere peggiore, un baratro. Perché quei tre gol, sul morale, sulla testa e sulle gambe, pesavano tonnellate. E invece lì, sul più brutto, è rispuntato un germoglio di Atalanta. Certo, il Napoli ha perso intensità, seduto comodo sul triplo vantaggio. Ma il dato di fatto è che nell’Atalanta, finalmente, qualcosa è cambiato. Si è rivista, finalmente, intensità. Si è rivista, finalmente, aggressività sugli anticipi. Si è rivista, finalmente, qualità sul piano tecnico. E si è rivisto, finalmente, un centravanti. Questi cinque «finalmente» possono essere il punto di ripartenza per la nuova Atalanta di Palladino. Una sconfitta a Napoli va automaticamente in preventivo. Poteva esserlo in passato, figurarsi ora. A questa squadra, che col nuovo allenatore ha lavorato al completo una manciata di ore (perché se hai tanti nazionali non è poi così vero che le soste sono il momento giusto per cambiare tecnico...), a Napoli si chiedeva soprattutto questo. Certo, il risultato non è mai secondario. Ma poi dipende anche dalle situazioni. E nello stato dell’arte in casa Atalanta, i «segnali di vita» erano quasi più importanti del tabellino finale. Il primo tempo ha allarmato: né risultato, né prestazione. Come Udine, come Sassuolo. Continuità, appunto, con quel gioco lento al punto da esasperare in campo e fuori, coi passaggi all’indietro, con la miriade di errori davanti, dietro, ovunque.