L’Atalanta tra il sorteggio e il mercato: che squadra abbiamo a fine trattative, tra «tricolor» e delusioni si deve ragionare

commento. L’editoriale

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I mprovvisamente, il sole che splendeva sul mondo atalantino fino a qualche giorno fa sembra essersi oscurato. L’infortunio di Touré, in primis, ha di colpo complicato le strategie di mercato. La sconfitta di Frosinone, certamente non in preventivo data la caratura dell’avversaria, non ha aiutato. E questo finale di mercato, diciamo agro senza dolce, pare gettare il mondo atalantino nel pessimismo cosmico tipico del tifoso, che quando vuol vedere tutto azzurro finisce per non vedere i problemi, e quando vuol vedere tutto nero finisce per non vedere gli aspetti positivi. Ma il nero e l’azzurro ci sono sempre, coesistono: sono - abuso consapevole di retorica - la maglia dell’Atalanta. Dunque non è tutto azzurro, o non lo è più, come a tantissimi pareva fino a qualche giorno fa, ma non è nemmeno tutto nero, come pare adesso perché il mercato nella parte finale non ha oggettivamente convinto. In tutto questo - prima delle fatidiche ore 20 di fine mercato, finalmente - l’Atalanta ha vissuto però a suo modo una giornata storica. Vivrà di nuovo l’Europa e ora si conoscono anche i nomi dei confini della prossima competizione internazionale dei nerazzurri. Si andrà - si tornerà, anzi - a Lisbona, dove l’Atalanta ha vissuto la delusione di Coppa delle Coppe nel 1963, dove si è riscattata nella magica notte di Aldone Cantarutti nel 1988, dove ha sfiorato una semifinale Champions contro il PSG nell’estate del calcio in coabitazione col Covid, anno 2020. Lisbona e l’Atalanta sembrano legate da un indissolubile destino, se si aggiunge che è da Lisbona che l’Atalanta, nell’estate di 39 anni fa, portò a Bergamo il suo più leggendario capitano, un’icona di questa maglia: Glenn Stromberg. Non era Sporting, era Benfica. Ma era, ancora una volta, Lisbona. Il resto del sorteggio mette l’Atalanta davanti alla possibilità concreta di proseguire in Europa League, e a quella concretissima - mal che vada - di piazzarsi al terzo posto del girone e di «scendere» in Conference League, la «Serie C europea» che tutti fingono di snobbare finché non viene l’acquolina di portarne a casa il trofeo.