L’ abbiamo detto e scritto tante volte, in questi ultimi anni. L’abbiamo scritto dopo aver perso le prime tre, nell’anno dell’esordio. L’abbiamo scritto prima di Manchester, prima di Amsterdam. Prima di Barcellona, che quasi quasi ci scappa il colpo. L’abbiamo scritto prima di ogni impegno che per l’Atalanta pareva impossibile, dentro la giostra della Champions League. Figurarsi se non lo scriviamo adesso, che si va davanti ai più ricchi, ai campioni, a quelli che la Champions l’hanno inseguita inutilmente per tanti anni affastellando fuoriclasse uno sull’altro, e che poi l’hanno vinta quando si sono decisi a costruire una squadra di calcio.
Quindi, rieccoci qui a riscaldare la sublime minestrina del risultato che conta fino a un certo punto, perché tanto è l’onore di giocarla, una partita così. Tutto verissimo. Ma l’onore al 90’ è un bene immateriale, conta niente. Ogni partita mette punti in palio e ogni partita si gioca per i punti. Incluse quelle che ti sembrano come una scalata dell’Everest sui pattini a rotelle. Questo è la partita di stasera, date le differenze di partenza, che nemmeno stiamo ad approfondire tanto sono ampie . Ma il calcio non è una scienza esatta, e l’Atalanta degli anni scorsi ne è stata la perfetta dimostrazione: capace di colmare differenze con la programmazione, col coraggio, con quell’essere «dentista» che arrivava fino al punto da poter sovvertire i pronostici, spesso.