L a partita tra Atalanta e Lazio ha offerto un confronto tecnico e tattico, costruito su tre direttrici principali che ne hanno orientato l’andamento e definito gli equilibri. La costruzione bassa e gli sviluppi lenti dell’Atalanta nella prima frazione di gioco; l’asimmetria funzionale della Lazio sulle due corsie laterali, e infine il tema dell’attacco proposto da Juric, con un reparto senza un vero riferimento centrale, che ha condizionato la produzione offensiva dei nerazzurri nei primi 45 minuti di gara. La gara ha quindi mostrato due filosofie opposte. Il dominio territoriale contro l’attesa organizzata, la densità in zona palla contro la ricerca (mancata) di verticalità. È all’interno di questa tensione che si sono intrecciati i tre temi chiave che hanno scandito il ritmo e la trama del match. In avvio, l’Atalanta ha scelto di impostare dal basso ma l’ha fatto con scarsa lucidità e poco efficacia, spesso lanciando in avanti la palla un po’ a casaccio. Il primo aggiustamento è arrivato quando Jurić ha chiesto a Pašalić ed Éderson di abbassarsi, garantendo superiorità numerica in fase di prima costruzione e costringendo così la Lazio a rinunciare pressare per riposizionarsi più bassa. Da quel momento la risalita è diventata più fluida, ma decisamente più lenta. La squadra ha fatto circolare la palla con continuità e ha potuto consolidare il possesso fino ad arrivare con pochi problemi nella metà campo avversaria. Ne è uscito un ampio spezzone di gara in antitesi rispetto al piano partita di Ivan Jurić, che aveva costruito la sua strategia su un attacco leggero, dinamico e pensato per colpire in velocità. L’idea di affidarsi a giocatori mobili e rapidi tra le linee — con De Ketelaere, Sulemana e Lookman senza un vero riferimento centrale — avrebbe dovuto favorire la fluidità e la capacità di attrarre la difesa della Lazio fuori posizione attraverso possessi brevi e verticali. Tuttavia, questa scelta si è scontrata con un avversario che ha deciso di difendersi con un blocco basso, compatto e corto, riducendo drasticamente gli spazi da attaccare e neutralizzando i movimenti orizzontali e gli smarcamenti interni.
L’Atalanta ha gestito lunghi possessi, ma la mancanza di una punta capace di fissare i centrali e di dare profondità ha reso sterile la circolazione, confinandola spesso al perimetro e alle catene laterali. La Lazio, invece, ha tratto vantaggio da questa struttura, perché ha potuto mantenere i propri difensori nella zona di comfort, senza dover difendere a campo aperto. Ogni volta che l’Atalanta ha provato a velocizzare il gioco o a cercare l’inserimento di un trequartista, il muro biancoceleste ha assorbito l’urto e chiuso i corridoi centrali.